martedì 31 agosto 2010

Una figura adatta allo scopo

Anche il vescovo dell'Aquila Giuseppe Molinari ha provveduto a bollare i terremotati quali ingrati. Ormai siamo abituati. "Berlusconi manca da troppo tempo, ma non è che gli Aquilani siano stati troppo grati nei suoi confronti", questa la brillante dichiarazione resa dal presule che ribadisce il concetto secondo il quale i cittadini sono sudditi che devono ringraziare per gli interventi dovuti e non possono rivendicare i loro diritti. Gli fa eco il presidente della Provincia Del Corvo "Tra Berlusconi e gli Aquilani è solo un fatto d'incomprensioni". E' lampante, però, che il premier non ha intenzione alcuna di venire a fugare le nubi. Si tiene ben lontano dalla città. Però, da lontano, pensa a noi, ci rassicura Del Corvo: "la riunione di fine luglio voluta da Berlusconi la dice lunga. Lui e Letta pensano all'Aquila. Cicchetti vicecommissario?Rafforzamento necessario, è una figura adatta allo scopo".
Bene, è in arrivo un secondo vice commissario. Vice del commissario?Vice del vice commissario? Vice facente funzioni del vice? Vice affiancatore? Non è dato saperlo. Sappiamo, però, chi è Antonio Cicchetti, aquilano di Santi di Preturo. Super manager trapiantato a Roma. Direttore amministrativo dell’università Cattolica del Sacro Cuore e componente della “Famiglia pontificia”, in qualità di gentiluomo di sua santità. All'Aquila ha molteplici interessi economici: con la " Rio Forcella spa" ha costruito e gestisce il San Donato Golf, nel suo Santi, ameno paesino di montagna a pochi chilometri dal capoluogo. Campo da golf con 18 buche, albergo con annessa beauty farm, centro congressi,foresteria di gran lusso con 90 stanze e suite,un nuovo borgo pronto in autunno. Dei giorni scorsi è l'inaugurazione di una variante, finanziata con danaro pubblico, che evita di percorrere la tortuosa strada all'interno del paese e porta direttamente al complesso turistico ricettivo. Ai piedi della variante sorgerà presto un villaggio turistico,sempre ad opera della Rio Forcella spa. I terremotati dovrebbero, ovviamente, essere grati dell'intervento: potranno raggiugere più facilmente il campo da golf e la beauty farm. E non è roba da poco.Esaltante il commento del vescovo, intervenuto all'inaugurazione: "Papa Giovanni Paolo II diceva che la montagna richiama a entità superiori e per questo mi auguro che la Forcella diventi uno stimolo per le altre realtà e rimanga "sana" per i valori, affinché preservi le relazioni autentiche fra i suoi abitanti e non". Tutti felici quindi, abitanti e non, sulla variante, che prevede anche un percorso separato per le macchinette elettriche del campo da golf. Ma Cicchetti è noto alla maggioranza degli Aquilani per essere stato il presidente della Perdonanza Celestiniana dal 2002 al 2004. La presidenza si concluse con l'arresto del direttore artistico e con condanne pecuniarie per molti, fra cui lo stesso Cicchetti. Il danno economico della mala gestione, che procurò una voragine nei conti del Comune, fu stimato pari a ben due milioni di euro. Quindi vice commissario alla ricostruzione:l'uomo giusto, al posto giusto.
Intanto continuano le scosse che interessano la zona nord della città. La protezione civile ha fatto sapere che non sono affari che riguardano loro: che ci pensino i Comuni. Rappresentanti di un popolo ingrato che non ha debitamente ringraziato per la gestione degli appalti dell'emergenza.

sabato 28 agosto 2010

Le carriole alla Perdonanza


Qualche giorno fa, in assemblea, la Signora Gabriella Liberatore ha chiesto timidamente la parola e, altrettanto timidamente, ha detto: "vorrei proporre di portare le carriole alla Perdonanza aquilana. Tutto qui, ho finito". Son rimasta spiazzata. Non avevo mai partecipato al corteo della Perdonanza, ricorrenza laica della città dell'Aquila. Giubileo del Perdono, proclamato con una bolla papale da papa Celestino V, l'eremita del monte Morone.Il papa del gran rifiuto. Bolla consegnata alla municipalità e sottratta alle indulgenze a pagamento offerte dalla Chiesa. Indulgenza per il popolo.Sentivo gli echi del corteo da casa mia, quando avevo una casa. E, da lontano, scuotevo la testa. Troppo anarchica, troppo cavallo pazzo per riconoscermi nella sfilata di autorità, gonfaloni, confraternite ed associazioni. Quest'anno sentivo che i cittadini responsabili avrebbero dovuto partecipare alla sfilata, ma non riuscivo a trovare la forma. Le carriole quindi, proposte al corteo. Le carriole fanno parte della storia della mia città, mi son detta. Le carriole hanno segnato il risveglio delle coscienze e della volontà di tanti cittadini. Hanno segnato la rinascita di un popolo tramortito dall'evento naturale e dall'oppressione di coloro che erano venuti a "salvarci". Ed allora ho realizzato che l'invito di Gabriella era sano. E giusto. L'assemblea ha votato la proposta favorevolmente, ma in molti si sono dissociati. Molti ritenevano che le carriole sarebbero state fuori luogo e, addirittura, ridicole. Sarebbero state bersaglio di vibrato dissenso. Insomma, le carriole si sarebbero bruciate da sole. Fine ingloriosa, ha detto qualcuno. Il dibattito, poi, è continuato su facebook. C'è stato chi ha ritenuto opportuno, pur avendo lavorato con le carriole, di affermare che la partecipazione era inappropriata. C'è stato chi ha sostenuto che chi sarebbe andato in corteo con le carriole lo avrebbe fatto esclusivamente per avere visibilità personale. Chi, con un briciolo di cattiveria, devo dirlo, ha addirittura sostenuto che le carriole cercavano visibilità per scopi elettorali. Alcuni si sono scatenati asserendo che le carriole sono detestate dalla maggior parte della popolazione. Che la partecipazione sarebbe stata un boomerang che si sarebbe ritorto contro tutti. Anche contro coloro che dissentivano dal riportare le carriole in pubblico. E tutto questo ha diviso l'assemblea. Allora mi son detta " ma non è che queste carriole fanno paura?" Ed ho capito che, comunque, sono un testimone forte, fortissimo. L'assemblea aveva deciso, democraticamente, che ognuno avrebbe potuto fare ciò che desiderava. E così è stato. C'è stato chi ha scelto la strada della contestazione, che io, pur accettando, non approvo,poiché non ritengo opportuno il luogo, e l'occasione. C'è stato chi, invece, come me, ha portato le carriole. Ed eravamo una cinquantina. Ordinatamente ci siamo disposti lateralmente sul corso ed abbiamo atteso la sfilata.Ero intimorita, devo dirlo, ma determinata. La paura di essere fraintesa ed addirittura contestata dai miei concittadini è svanita subito. Immediatamente ho percepito l'affetto e l'approvazione negli sguardi dei tanti che percorrevano il corso. E tanti si sono avvicinati a noi, chiedendo i cartelli che avevamo approntato con i nomi delle vie, delle piazze, dei palazzi, delle frazioni. E ci sono stati vicini. Ho taciuto, abbiamo taciuto, al passaggio delle autorità. Abbiamo applaudito i gonfaloni dei paesi, e quelli dei nostri quartieri. Abbiamo applaudito e ringraziato i vigili del fuoco che portavano le spoglie di Celestino. Poi, alla fine del corteo, tra il popolo, abbiamo iniziato a sfilare. E lì è accaduto ciò che non mi aspettavo: abbiamo percorso il lungo tratto, fino alla basilica di Collemaggio, fra gli applausi della popolazione. E gli applausi sono stati solo per noi. E gli sguardi di affetto. E di solidarietà. E noi cantavamo "L'Aquila bella me' te voglio revete' ". E si è pianto di commozione. Tutti. Mi son fermata, li ho guardati gli Aquilani che ci applaudivano ed io ho applaudito loro. "Uniti ce la faremo" ho urlato. Ho incrociato lo sguardo di una signora. Piangeva. L'ho abbracciata. Lei mi ha detto " pensetece vojatri a refalla sta città". L'ho stretta con affetto. Ed ho continuato a cantare. Piangendo anch'io. Delle giovani si sono avvicinate " siamo della Caritas, dateci una carriola". E si continuava a cantare e le persone che ci facevano ala cantavano con noi. Seguivo le mie parole sulle loro labbra. La città ci ha abbracciati. Da qui ripartono le carriole. Testimoni di forza, di speranza, di volontà e di lavoro. Non ci siamo bruciati. Chi non è venuto ha perso tempo ad elucubrare dietro una tastiera. Avrebbe potuto abbracciare con noi la nostra città.

martedì 24 agosto 2010

La democrazia è partecipazione

Praticare la democrazia partecipativa è impresa difficilissima. Soprattutto quando questa nasce dal basso. Dallo sforzo di cittadini volenterosi. Soprattutto, poi, se questi volenterosi vivono condizioni di disagio personale e collettivo quali quelle che induce un terremoto. Lo sforzo di tanti rischia di essere vanificato dal non essere compresi dal resto della cittadinanza. Si corre il rischio di essere visti quali referenti, o, peggio ancora, quali responsabili cui attribuire errori e mancanze. Persone verso le quali esercitare delle critiche, a volte anche spietate, poiché si ritiene che non interpretino i bisogni ed i desideri di tutti. Li si accusa di non essere rappresentativi della cittadinanza. Li si accusa di portare avanti istanze, o bisogni, o proposte nelle quali non ci si riconosce. O, a giudizio personale, non prioritarie rispetto ad altre. Si aspetta, insomma, che questi volontari facciano ciò che il singolo che si rapporta con la struttura dell'assemblea ritiene debba essere fatto. Non si comprende che, per cercare di determinare l'andamento di un movimento di cittadini, occorre partecipare. E partecipare attivamente. Non limitandosi a presenziare agli incontri o, addirittura, a sentirne l'eco da lontano. Occorre portare in assemblea i propri bisogni e le proprie idee, senza aspettarsi che qualcuno li raccolga per portarli avanti al posto nostro, e arrabbiandosi, e allontanandosi,se ciò non avviene. Occorre che ci si faccia carico personalmente delle istanze che si vogliono portare all'attenzione della cittadinanza e delle istituzioni. Occorre che si lavori ad esse, perseguendole strenuamente, e cercando persone, interessate al medesimo problema, che ci possano aiutare nel produrre documenti, e piattaforme rivendicative. E bozze di soluzioni ai problemi. Sono stanca di sentirmi dire che l'assemblea persegue solo gli interessi di alcuni. L'assemblea persegue ciò che sta più a cuore a chi vi lavora all'interno. Partecipate. Abbiamo bisogno di tutti. La città ha bisogno dei suoi cittadini. Non di sterili critiche che a nulla portano. L'assemblea è di tutti ed è aperta a tutti. E se c'è qualcosa che non vi piace, venitelo a dire. E datevi da fare per cambiarla. Anche io ravviso, al suo interno, percorsi che non condivido ed atteggiamenti che non mi piacciono. Personalismi e tentativi di accentramento e prevaricazione.Resto, li evidenzio, li combatto, porto il mio contibuto, accetto il confronto. Anche se durissimo, a volte. E vado avanti.

lunedì 16 agosto 2010

Vivere la propria città

Da anni le mie vacanze del mese di giugno sono in Sicilia. Per l'esattezza, a Siracusa. Nel centro storico di Siracusa: la splendida Ortigia. Luogo d'incanto: un'isola nell'isola. Centro storico abbandonato dai Siracusani negli anni scorsi, e , da qualche tempo, pian piano, in via di recupero. Lo scorso giugno, dopo essere mancata l'anno precedente, e dopo il nostro terremoto, ho visto, per la prima volta, Siracusa con gli occhi di chi ormai è abituata a vedere case cadenti e puntellate. E rovine. E, per la prima volta, ho realizzato che Ortigia è simile ad una città terremotata. Case disabitate, ponteggi, cantieri. Finestre come occhi oscuri che aprono alla vista di interni fatiscenti. Pietre ed intonaci sgretolati. Tanti. Portoni segreti. E soli. E balconi con vecchie piante arse dal sole. Assetate ed orfane di mani premurose. Ed ho realizzato che è proprio questa condizione che me la fa amare. Città vera, che non si nasconde. Che mostra le sue ferite. E va orgogliosa delle medicazioni che lentamente si vanno operando. Ed è piena di vita: negozi e negozietti, bar, ristoranti e musica e voci. E odore di pane caldo e brioches. E granite e gelati. E il mercato: vivo, vivissimo. I banchi pieni di meraviglie del mare e della terra. E le spezie. E l'odore dei peperoni arrostiti sulla brace, del finocchietto selvatico. Dell'origano. E le grida dei venditori che ti invitano a comprare. E mi son detta, ci siamo detti, con mio marito, che forse potremmo vivere in quel posto. Mare, e storia, e arte. E mito.
La mia amica Giusi Pitari http://giusipitari.blogspot.com/è in vacanza lì. Sta per tornare in questi giorni. E, su facebook, scrive di Ortigia. Le faccio notare quanto io ho notato: una città ferita, ma viva. Ci fa eco l'amico Marco Morante, giovane architetto aquilano, e ci invia un link http://www.collettivo99.org/?page_id=693 al sito del suo collettivo.
E da qui nasce il mio proposito, da perseguire con tenacia. Voglio chiedere la riconversione del centro storico della nostra città. Voglio negozi, e ristoranti, e bar, e gallerie d'arte,e luoghi d'incontro. Voglio che gli Aquilani vivano la ricostruzione e ne prendano coscienza. Voglio che i bambini di oggi imparino a diventar grandi in un luogo bello, da amare e curare. Voglio che i giovani non abbandonino il centro, la città vera, per i centri commerciali anonimi ed avvilenti. La loro città, quella che hanno sempre vissuto, prima di quel 6 aprile, come luogo di incontro e divertimento. In mezzo al bello della storia. Che non va dimenticata. Voglio che gli anziani tornino fra le loro pietre, a raccontarci la loro memoria.Voglio che il turista non arrivi più qui, nel nulla. A fotografarsi vicino alle rovine. Voglio che trovi un luogo vissuto e curato. E amato.
Questo è un proposito dal quale ripartire. E trovare vigore e speranza.

venerdì 13 agosto 2010

E' faticoso

Scrivo poco, lo avrete notato.
Mi domando perché. E non so darmi risposta. O meglio, non so darmi la risposta che mi piace. Per non farmi male, non mi rispondo.
E' faticoso vivere in un luogo non tuo. In un luogo che non hai potuto scegliere.
E' faticoso vivere in un paesino, quando sei abituato ad una città.
E' faticoso vivere la tua città che è diventata un non luogo. Ma tu vuoi viverla a tutti i costi.
E' faticoso vedere le persone spaesate, sgomente, tristi e rassegnate. Incerte del domani.
E' faticoso constatare che chi lotta con te viene strumentalizzato dai soliti meccanismi dell'Italia del berlusconismo. Anche quello di sinistra.
E' faticoso vedere i personalismi esasperati che bruciano la spontaneità della partecipazione.
E' faticoso stare insieme a chi non è propenso all'ascolto. A chi si parla addosso e pretende di indicarti la strada giusta. Invece di cercarla insieme con te.
E' faticoso prendere atto che gli sforzi della cittadinanza attiva a nulla valgono. Chi deve decidere, amministrazione comunale in testa, pur riconoscendo, solo a parole, i meriti dell'assemblea cittadina, ti passa sopra come un treno. Decide. Nelle stanze chiuse. Con i soliti noti. In barba alla partecipazione dei cittadini ed alla trasparenza delle amministrazioni. Sbandierate come valori propri, ma lontane anni luce dalla politicuccia di quart'ordine che neanche un terremoto è riuscito a smuovere.
E' faticoso riconoscere che, se mostri dissenso, sei sotto schiaffo. Anche di alcuni che si dicono tuoi compagni di cammino.
E' faticoso esercitare la democrazia in questo scorcio di estate.
E' faticoso decidere di restare a lottare. Di non chiudersi nel proprio guscio. A stare a guardare.
Vai avanti, ché hai le spalle forti.
Buon Ferragosto a tutti.
Che la mezza estate vi porti serenità e voglia di partecipare.
Anche se è faticoso.

venerdì 6 agosto 2010

Sedici mesi

Son trascorsi sedici mesi esatti da quella notte che ha cambiato la vita di centomila persone. E che ha spento 308 anime. E, nonostante tutto, L'Aquila, già ferma, già ferita,già esausta, va in ferie. E' giusto che sia così: una sorta di normalità. Non avevo mai abbandonato la mia città nei mesi estivi. Amavo trascorrere l'estate a casa mia. Nella città meravigliosa e deserta. Deserta per scelta, non per obbligo. E allora erano passeggiate solitarie nei vicoli ombreggiati. Era fermarmi a sedere su un gradino. A guardare il cielo. Fra le pietre scolpite. Le finestre austere e i portali dei cortili segreti. Era spiare le case deserte. E sentire lo scroscio delle fontane. Chinarsi a bere l'acqua saporita. Gelata sui denti. E poi tornare a casa e godere di quella terrazza che era la mia gioia ed il mio vanto. E pensare, orgogliosa, che la solitudine di quel posto, sui tetti, vicino al cielo, fosse meglio di qualsiasi luogo di villeggiatura. Affollato ed afoso. La mia villeggiatura era il silenzio dei quei luoghi di sempre. Era un gelato con le fragoline di bosco, raccolte nelle passeggiate in montagna. Erano i rintocchi del campanile del Duomo. Così vicino a quella terrazza amata. E nitidi, nel silenzio. E le rondini, le gazze, i passeri. E la storia che correva su quei muri. E nelle mie vene. La consapevolezza di essere fortunata.
Lo scorso anno, in agosto, ero a Roma. Per la prima volta, dopo quattro mesi,e per qualche settimana, in una casa. Ancora sconvolta. Grata alla sorte solo di essere viva. Ma confusa. Con il cuore spezzato e la paura che covava dentro.
Oggi sono ancora fra questi monti. Tenacemente attaccata a questi monti. A dirmi, come prima, che l'estate qui è bella. Anche senza la mia casa. Anche senza la mia vita di prima. Mi sento sola, a volte. E triste, sempre. Anche se rido e sorrido alla vita. Che c'è. E va vissuta. La memoria resta con i ricordi. Vivissimi. La speranza va e viene. La forza di andare avanti, e lottare, giunge dalla consapevolezza che altro non si può fare.
Tra qualche giorno le stelle cadenti. Quelle dei desideri di bambina.