
Sabato pioveva sulle nostre speranze. E sulla nostra rabbia. Sulle nostre rivendicazioni. E sulla verità. L'Aquila si è mostrata, a noi e ai tanti venuti da fuori, in tutta la sua cruda realtà. Realtà alla quale troppi Aquilani rischiano di abituarsi. Realtà che, invece, va gridata, e combattuta. Eravamo tanti. Più di ventimila, al freddo e sotto l'acqua che ci ha accompagnato, impietosa come le nostre macerie, lungo tutto il doloroso tragitto. E le case sventrate, vuote e buie, sono state la scenografia della rappresentazione del dolore dal quale cerchiamo di uscire.

Molti c'erano, molti non c'erano. C'era chi vuole reagire, chi non si accontenta. E chi non delega. C'era chi si rifiuta di credere e far credere che tutto va bene. C'era chi non si arrende.E c'era anche in nome dei tanti che non sono venuti. Dei tanti che non ce l'hanno fatta a ripercorrere e rappresentare il loro dolore. Dei tanti che sono deboli, e stanchi, e rassegnati. Ma chi sfilava ha assunto su di sé il compito di guardare avanti con fierezza e di procedere lungo la difficile strada della partecipazione civile. La strada della ricostruzione sociale ed etica. La storia, le lotte, i cambiamenti non sono mai stati portati avanti dalla maggioranza dei popoli. Le avanguardie sono quelle che fanno la storia. Sono quelle che, dall'Aquila e da tutta l'Italia,sopra e sotto quel palco bagnato, hanno rappresentato le loro realtà ed hanno abbracciato quelle degli altri. Non siamo soli. Ora questo lo sappiamo: siamo in tanti a volerci riprendere le nostre città.
