La mia nuova vita è talmente diversa, sconclusionata, folle, imprevedibile, dura, da non concedermi tempo sufficiente per scrivere sul mio blog come vorrei. Mi capita, durante la giornata, di pensare di volervi raccontare quello che accade qui. "Questo devo scriverlo", mi dico.Ma poi il tempo passa. Ed io mi ritrovo a corrergli dietro. Concludendo, in verità, poche cose. Guadagnando, in compenso, tanta stanchezza e senso di frustrazione. E di impotenza. Mi sento, a volte, come quei topolini che girano a vuoto su una ruota senza senso. Corrono, si agitano, ma sulla ruota sempre restano. Sempre nella gabbia. Sempre ad aspettare. Cosa? E' freddo da noi. Freddissimo. Nel paesino dove vivo, ancora più freddo che nella mia città vuota. Il ghiaccio scricchiola sotto i piedi. E i vetri delle finestre sono appannati. La casa, che Manitù mi benedica per aver scelto di non vivere in una c.a.s.a., è il mio rifugio. Comincio a sentirmi a mio agio vivendola. Ad apprezzarla. A volerle quasi bene. Fuori, il nulla. Se non le mie montagne. E fuori ancora? Aldilà di queste montagne? Anche lì è scoramento profondo. Lo scenario italiano non è meno sconfortante di quello della mia città. E della mia vita. Uomini e donne in vendita. Partiti politici che son fantasmi. Imperatori e saltimbanchi. Figure e controfigure. Vuoto. E una piccola parte della società civile che, forse, si risveglia. Ma il processo sarà lungo. E faticoso. E denso di pericoli. Proprio come quello dell'Aquila e degli Aquilani. Per noi è ancor più dura, ché da gennaio pagheremo più tasse di tutti gli Italiani. E pagheremo la benzina due centesimi in più degli altri: c'è da ripianare il deficit della sanità abruzzese. Una voragine di 360 milioni. E per noi Aquilani sarà ancora più difficile: tutti, indistintamente, percorriamo chilometri e chilometri al giorno, per coprire le distanze che ci dividono da tutto. Nel traffico caotico, come quello di una metropoli. Cittadini senza città. Con i disagi di una grande città e la qualità di vita di un paese del terzo mondo. Però possiamo stare allegri: aldilà della schiacciante realtà, secondo uno studio de La Sapienza, la qualità della vita all'Aquila è migliorata. Ha infatti, in barba al terremoto, scalato la classifica dal 67° al 63° posto. Nonostante l'esplosione della disoccupazione, della cassa integrazione, il consumo dissennato del territorio, l'insostenibile inquinamento di aria, fiumi, terra,la città sventrata, il crollo dei consumi , le persone disperse, quelle che sono andate via, quelle distrutte psicologicamente, i Comuni al collasso economico, saliamo in classifica. Ridere o vomitare? Intanto l'appena insediato vice Commissario Cicchetti, quello condannato per aver lucrato sulla Perdonanza Celestiniana, mostra il primo muso duro. Stretta di ferro sugli abitanti delle c.a.s.e. e dei m.a.p ( che Manitù continui a benedirmi): non sei neanche padrone di allontanarti da quei surrogati di abitazioni, ché ti mandano via. E non puoi invitare a stare con te i parenti, ché vengono decurtati del contributo (fantasma) di autonoma sistemazione. E, se hai un figlio che frequenta l'università fuori città, devi cambiare casa per una più piccola, fin tanto che lui è fuori. Quando torna, trasbordi di nuovo. Espedienti di un furfante che penalizza tutti, per colpire i furfanti. Intanto arriva un altro Natale, che ci trova peggio di quello scorso. Più delusi, più amareggiati, più stanchi. Abbiamo allestito un albero ai Quattro Cantoni, luogo simbolo della città. Il crocevia degli appuntamenti di una volta, delle "vasche" lungo il corso cittadino. L'ho voluto io, mi hanno aiutato in tanti. Ognuno portando un addobbo da casa. Lo guardo: è bello. E triste. Ci siamo abbracciati ed abbiamo toccato la nostra disperazione. Quella dei tanti che son venuti, di quelli che son passati. Abbiamo cercato di farci forza, vicino a quelle transenne che, dopo venti mesi, ci separano ancora dalla nostra storia e ci impediscono di viverla. Gridando, a chi già sta dimenticando, che i Quattro Cantoni sono la nostra vita, quella della nostra città. Non quell'orribile centro commerciale che qualcuno ha sciaguratamente deciso di chiamare come l'unico luogo che, di diritto, sta nei nostri cuori. E che in molti stanno già dimenticando.
A presto.