venerdì 29 ottobre 2010

L'autorità del Presidente Chiodi


Il Presidente della regione Abruzzo, Gianni Chiodi, qualche giorno fa ha esternato su facebook in merito all'autorità (http://www.ilcapoluogo.com/site/News2/Politica/Chiodi-Contro-il-pensiero-unico-sull-autorita). Gli ho risposto.

Egregio Presidente Chiodi, vorrei reagire alla Sua intemerata in favore dell’autorità, anzi dell’Autorità, non una qualità di cui si analizzi il senso e la portata, per comprendere a chi spetti, a chi debba essere riconosciuta e perché, ma una sorta di valore assoluto. A prescindere. Ho riletto la nostra bella Costituzione repubblicana: vi ho trovato i valori della dignità, dell’eguaglianza (art.3), della libertà (art.13,14,15,16 ecc), del rispetto della persona umana (art.32), ma non ho trovato il valore dell’autorità. La parola autorità, lì, non è mai usata da sola, ma come “autorità di pubblica sicurezza” (art.13), “autorità giudiziaria” (art.21) per definire una funzione pubblica.
Ho poi letto la più recente “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”,che ha valore giuridico da appena un anno, e anche lì ho trovato che i sei valori cui sono intitolati i capitoli nei quali la Carta è suddivisa sono: dignità, libertà, eguaglianza, solidarietà, cittadinanza, giustizia. Non si parla dell’autorità. Eppure non sono affatto ignorati i doveri. Anzi, si afferma che il godimento dei diritti previsti “fa sorgere responsabilità e doveri nei confronti degli altri come pure della comunità umana e delle generazioni future”.
Il potere di per sé non è buono. Da Montesquieu in poi abbiamo imparato che deve essere diviso, controllato, soggetto alla legge.
L’autorità si conquista con l’autorevolezza. Se imposta forzatamente, è mero autoritarismo.
L’ordine senza aggettivi non è un valore. L’ordine regna anche nei cimiteri. E nei gulag.
L’obbedienza di per sé non è una virtù. Il dovere di disobbedire agli ordini ingiusti è una delle conquiste della nostra civiltà giuridica, frutto della profonda “rivoluzione dei diritti umani” che, a partire dal secondo dopoguerra, ha segnato una svolta nella comunità internazionale. Dopo gli orrori della guerra e dell’olocausto. Questo dovere di disobbedienza non ha nulla a che vedere col “nichilismo ottundente” o il “relativismo esangue”. Anzi, richiede un sovrappiù di coraggio e di responsabilità di cui si vedono oggi assai pochi esempi, e non certo per colpa del ’68.
E’ davvero azzardato sostenere che la “crisi etica” della società italiana nasca dalla “svalutazione dell’autorità”, quando sono del tutto evidenti ben altre cause. Dalla corruzione, per cui l’Italia vanta un triste primato, alla collusione fra poteri pubblici (le “autorità”, appunto) e le mafie; dall'accaparramento di vantaggi personali da parte di coloro che dovrebbero rappresentare la Nazione, od essere “al servizio esclusivo della Nazione”,ai conflitti di interesse. Sino alla trasformazione in merce e all’umiliante esibizione mediatica del corpo femminile, per dirne solo alcune. Da qui, nasce una cattiva democrazia che esprime istituzioni prevalentemente prive di minimo etico. Estranee ad ogni istanza egalitaria. Una cattiva democrazia non riscuote rispetto per le autorità semplicemente perché non lo merita.
Forse lei dimentica che la nostra storia non comincia, né finisce con il 1968, con i suoi pregi e i suoi difetti. C’è un lungo prima e un consistente dopo. Un prima di riscatto da regimi dittatoriali (e “autoritari”, appunto) e un dopo segnato da Tangentopoli.
E’ giustissimo pretendere il rispetto per chi esercita legittimamente una funzione pubblica. Dai professori ai poliziotti. Ma, appunto, “legittimamente”. Ed è purtroppo vero che molti danni hanno fatto gli egoismi di un individualismo proprietario, le chiusure e le paure di un Paese che ha perso il rispetto per se stesso e smarrito i valori delle lotte combattute per riscattarsi sia dal passato fascista, che dalla povertà e dallo sfruttamento. Fra questi il valore della solidarietà e l’importanza della conoscenza e della cultura. E’ così che cattivi genitori, aiutati dai pessimi esempi pubblici, non sanno più trasmettere ai propri figli il gusto della propria storia, della conoscenza scientifica, della bellezza dell’arte e della letteratura, il rispetto per chi lavora per loro nella scuola. Ma tutto questo non si supera invocando l’autorità, l’ordine, il potere.
Occorre un’autorità moralmente credibile. Un ordine fondato sulla giustizia. Un potere controllato e responsabile.
E’ vero che dall’assenza di regole a guadagnarci sono i forti e i furbi, mentre a perderci sono i deboli e gli onesti. Ma l’esistenza di regole che proteggano efficacemente i deboli e gli onesti si chiama diritto, si chiama giustizia. Dove regnano diritto e giustizia, dove è diffusa l’obbedienza a leggi costituzionalmente legittime, coloro che esercitano funzioni pubbliche (le “autorità”) sono rispettati e la legittima repressione contro le violazioni dell’ordine democratico non suscita rivolte condivise.
L’obiettivo da perseguire è la ricerca costante dell’attuazione dei valori di dignità, libertà, eguaglianza e solidarietà.Non quello dell’affermazione di un ordine purchessia. E di un’autorità fine a se stessa.
Non è l'autorità che fa libera una democrazia. E' la libertà che deriva dall'eguaglianza praticata. Libertà che è partecipazione alla cosa pubblica. Non già come obbedienti sudditi, ma come cittadini consapevoli.

Distinti saluti.
Anna Pacifica Colasacco
(cittadina dell'assemblea di piazza Duomo all'Aquila)

mercoledì 27 ottobre 2010

Meglio tardi che mai

Mi è difficile scrivere. Per svariati motivi. Il primo è che non posso dare buone notizie. Sono diciannove mesi che non riesco a darne. Neanche una piccola. Anche se mi sforzo di trovarne.
Una ce ne sarebbe, ma forse è una falsa buona notizia.
I cinque saggi, chiamati dalla struttura tecnica di missione che dovrebbe occuparsi di stilare un piano di ricostruzione per la città, hanno fornito una prima relazione che riguarda le azioni da compiere a breve termine. Ebbene, il sociologo, l'economista, l'urbanista, persino gli uomini di Confindustria, tutti di acclarata fama, mettono nero su bianco quanto noi cittadini attivi andiamo ripetendo da mesi e mesi. E dicono cose di buon senso (strano, vero?), le dicono dopo diciannove mesi, e son cose che parlano di progettazione partecipata, di democrazia partecipativa. Scrive il sociologo Aldo Bonomi :"la progettazione non partecipata, anche quando tecnicamente efficace, genera quasi sempre un deficit di trasparenza e, nei casi più deteriori,peraltro frequenti nella storia del nostro paese,logiche opportunistiche e l'uso distorto delle risorse. L'approccio metodologico proposto, viceversa, si fonda sull'ipotesi per la quale solo un adeguato grado di mobilitazione della società locale e il suo riconoscimento come soggetto protagonista del processo di ricostruzione può combinare efficacemente qualità tecnica ed equità di efficienza e controllo democratico". Ci voleva il grande saggio per dirlo. Dopo diciannove mesi.Non so se Berlusconi e Bertolaso leggeranno mai il documento. Dovessero farlo, penseranno che il dottor Bonomi è un disfattista comunista. Così come l'economista Paolo Leon che afferma che i centri storici sono un bene unico, per i significati simbolici che portano in sé. "Un bene che appartiene alla collettività, locale, nazionale, planetaria,aldilà dell'interesse o dell'utilità dei singoli" , conferma l'urbanista Lampugnani che parla di regole, trasparenza, controllo. Che parla di ricostruzione che si paga da sola, poiché favorisce l'imprenditorialità locale e, in seconda istanza, attrae investimenti esterni. E noi lo gridiamo, inascoltati, da mesi. Non perché siamo particolarmente saggi, ma perché è l'unica analisi che si può fare.E ci hanno sfibrati, non prendendo in considerazione proposta alcuna. Primo fra tutti il Comune, che ancora non ci garantisce neanche un luogo dove incontrarci, dove esercitare la partecipazione tanto sbandierata dai saggi . E la Regione, e su, fino a giungere al Re Sole Bertolaso , alter ego dell'altro Re Sole, che ha fatto di noi carne da macello. Quindi non è una buona notizia, ma è una cosa che ti fa solo arrabbiare, ché troppo tempo si è perso. Ché mi sento presa per i fondelli. Anche dai cinque saggi che, dopo diciannove mesi, non dicono nulla di nuovo. Solo aria fritta. Per continuare a perdere tempo. Noi vogliamo i progetti. E le idee per la nostra città. Idee che neanche i grandi consiglieri hanno ancora.


martedì 19 ottobre 2010

Non si può più aspettare



Tante le cose che vorrei raccontarvi, ma tutte riconducono ad un'unica, cruda, realtà: L'Aquila è ferma. E i problemi, col passare del tempo, si moltiplicano ed ingigantiscono. La qualità della vita è desolante. I cittadini, coraggiosi, son tornati sulla loro terra. Ma manca la città. Viviamo un non luogo dove la civitas ha lasciato il posto agli agglomerati diffusi di realtà ghettizzanti,che già mostrano evidenti segni di deterioramento, al traffico impazzito che si snoda verso il nulla, all'inefficienza dei trasporti pubblici. Alle persone disorientate e stanche che, in massima parte, hanno trovato alloggi di fortuna. Distanti gli uni dagli altri.La vita quotidiana appare una guerra. Persa in partenza. Non esistono luoghi dove incontrarsi. E' impossibile coltivare i rapporti umani. Il centro della città antica è sempre più solo. E interdetto. Piazze e vie ingombre di macerie. E ancora militari, a presidiare. Gli Aquilani sono sfiduciati. Nessuna certezza per noi. Neanche lontana. E i cittadini attivi sono dispersi. Il centro del capoluogo di regione non ha neanche più una tenda per favorire le riunioni della cittadinanza, i confronti di idee, la socializzazione. Il Comune nicchia. Alla vibrata richiesta, risponde che la tenda devono procurarsela i cittadini. Autofinanziandola. Cittadini senza più casa, né vita.
E noi ci siam persi per cercare di fornire soluzioni a chi queste soluzioni non vuole trovarle. E, soprattutto, non vuole trovarle con noi. Ad arrovellarci su leggi e piattaforme propositive. Quando le nostre dovrebbero essere solo rivendicazioni. Che nascono dal constatare i nostri bisogni. Dovremmo esercitare il diritto di rivendicare una vita decente e, soprattutto, chiarezza e trasparenza su ciò che si sta decidendo sulle nostre teste. E il diritto al lavoro, pretendendo misure immediate che rilancino l'attività economica e produttiva al collasso. Il diritto a ricostruire le nostre case. Con fondi certi. Non con la finanza creativa che promette e, nella realtà, non dà.Siamo stanchi dei continui rimpalli di competenze. Pretendiamo un progetto per la nostra città che, dopo diciannove mesi, ancora non c'è. Per darci speranza, anche a lungo termine. Ed una ragione per restare. Siamo stanchi di stare a guardare. E, soprattutto, stanchi di non essere presi in considerazione. Bisogna tornare a pretendere di riaprire la nostra città. Le soluzioni le trovi chi è pagato profumatamente, da noi, per farlo. Ci servono risposte. E concretezza. Non si può più aspettare.

domenica 17 ottobre 2010

Apro la porta

Apro la porta ed entro. Piano. Ho lasciato questo luogo troppo solo. E troppo a lungo. Eppure l'ho amato. E lo amo ancora. Tanto. Mi siedo ed accendo la luce. Mi guardo intorno e tocco il mio dolore e la fatica del mio vivere. Tocco la rabbia. E la disperazione. E la stanchezza. E la voglia di andare avanti. Tocco gli alti ed i bassi del mio umore. E quello che ho tirato fuori, mettendomi a nudo, in questi giorni, e mesi, di vita estrema. Tocco me stessa. E l'affetto di tanti. L'insofferenza di pochi.
Guardo fuori ed è notte. E freddo. Qui è caldo. E questa è la mia casa. Quella che avevo "prima". E la stessa che ho ora. E che ritrovo.Questo luogo mi ha aiutata a sopravvivere. Mi ha dato una speranza. E la forza. Ha dato corpo ai miei pensieri. E alle mie ragioni. Mi ha fatto piangere. Gridare. E mi ha chetata. Mi ha fatto sentire meno sola e spaventata. Mi ha fatto raccontare, spiegare, interloquire.
Vivere.
Il blog riapre.
Ed io ricomincio a scrivere.

P.S. Mi rendo conto, dai messaggi privati che ricevo, di aver generato, con questo post, un equivoco: non sono assolutamente tornata a vivere nella mia casa che si trova in zona rossa ed è inaccessibile e versa in condizioni di gran lunga peggiori di quelle in cui era il 6 aprile dello scorso anno. La casa cui faccio cenno, l'unica che sento mia e che è la stessa da quattro anni, è questo blog.

lunedì 27 settembre 2010

......

Sono ancora lontana dall'Aquila. Tornerò a breve. Da qui, la mia città mi appare un incubo al quale, nonostante tutto, desidero tornare. La casa, quella nella quale vivo da qualche mese, mi appare estranea. Nulla mi invita a riaprirla. Né le cose che ho salvato dalla distruzione, né l'idea di un tetto per l'inverno. Sono estranea al mondo che mi circonda. Faccio finta di essere normale, ma non lo sono. Non si può più essere normali, dopo una disgrazia come quella che stiamo patendo. La sensazione è dell'instabilità totale: il sentirsi inadeguato ovunque. Meno che tra quelle montagne. Non fra quelle mura, ma su quella terra che è l'unica cosa che mi dice che i ricordi si possono ancora toccare.


lunedì 13 settembre 2010

Far chiarezza per guardare avanti

I simboli sono importanti. Tratteggiano il percorso delle idee e delle azioni.
Le carriole: segno di rinascita e di consapevolezza che ha valicato i confini della città terremotata. Assurgendo a prorompente simbolo di cittadinanza consapevole e attiva. E di speranza. Per molti.
Il tendone di piazza Duomo: simbolo anch'esso. Di azione che diventa sostanza. Spazio aperto alle proposte ed al confronto di idee.
Le carriole risorte dopo il letargo imposto dagli eventi e da chi in esse ravvisa un'aggregazione troppo destabilizzante per le istituzioni; il tendone sparito fisicamente. Non inaspettatamente. Poca chiarezza c'è stata: in pochi sapevano perché il tendone fosse lì. E chi per esso pagasse. Nell'aria c'era già il sentore che sarebbe stato rimosso. Il proprietario, imprenditore aquilano e cittadino attivo, ne ventilava la rimozione da tempo. L'ha messa in atto, giustamente dal solo punto di vista dell'imprenditore, venerdì scorso. Stanco dei malcelati dissapori interni e di alcune prese di posizione dure e decise. Che chiedevano, comunque, chiarezza. I cittadini attivi son rimasti spiazzati. Ed amareggiati. E' stato come perdere la casa per la seconda volta. E l'identità faticosamente conquistata. Ma l'Assemblea cittadina non è solo un luogo fisico. E', principalmente, la forza e la determinazione delle persone che la animano. L'Assemblea non muore. Va ripensata e ristrutturata con l'obiettivo dell'efficienza e dell'incisività. I cittadini attivi son cresciuti. Di numero ed in consapevolezza. E non si fermano. Si riuniranno mercoledì 15 settembre, sotto i portici della Banca D'Italia, alle ore 18, portando le sedie da "casa". La sedia che diventa nuovo simbolo. Di determinazione. Il centro storico non può essere abbandonato. L'Assemblea non può essere abbandonata. E le nubi, alimentate dal silenzio alle domande senza risposta, seppur più volte sollecitate, vanno fugate, superando il tipico perbenismo ipocrita di provincia.
Le cose vanno dette: l'Assemblea non è luogo di intrigo politico, né trampolino di lancio per ottenere incarichi e prebende,né strumento per portare avanti progetti che seguono iter oscuri e tortuosi che non contemplano la vera partecipazione della cittadinanza.
L'auspicio è che chi si sente ingiustamente chiamato in causa, da pericolosi quanto sterili detrattori esterni e da agenti interni che invitano, seppur duramente, alla riflessione ed alla trasparenza, chiarisca definitivamente. E pubblicamente.
Le stanze chiuse lasciamole ad altri.

sabato 4 settembre 2010

Parto

48.114 sono , a tutt'oggi, gli sfollati all'Aquila.
Meno di 15.000 hanno ricevuto un alloggio nelle case antisismiche del piano c.a.s.e.
25.852 persone se la cavano da sole.
Le rimanenti, circa 8.000, si trovano ancora negli alberghi e nelle caserme.
E la terra è tornata a tremare, ogni giorno.
Chi, come me, ha preso in affitto e vive una casa non antisismica trema.
Mi tornano alla mente le parole con le quali Bruno Vespa martellava i cittadini del presidio permanente di piazza Duomo, in collegamento differito con la sciagurata Porta a porta del 6 aprile di quest'anno: "erano meglio i container?" .E lo ripeteva a mo' di ritornello, sempre più incalzante. Sempre più ottuso.
Sì, Bruno Vespa, sarebbero stati meglio i container. Quelli di nuova generazione, quelli nei quali nel nord Europa si vive normalmente. E sarebbero stati per tutti. Costando un terzo del famigerato acronimo c.a.s.e. E la comunità non sarebbe disgregata. E oggi saremmo molto più sereni. Nell' attesa e nella speranza che le nostre case vengano ricostruite secondo le norme antisismiche.
E' di questi giorni la notizia che 1.339 alunni delle scuole dell'infanzia, delle primarie e delle secondarie di primo e secondo grado non hanno rinnovato l'iscrizione nelle scuole aquilane.
Solo un terzo delle attività commerciali, artigianali e professionali ha riaperto i battenti.
2.000 sono le attività chiuse.
Ed il centro storico è di nuovo sbarrato.Presidiato dai militari . Interdetto alla cittadinanza che, faticosamente, lo ha rivendicato. Anche se solo per un breve tratto.
I puntellamenti di case, chiese e palazzi, costosissimi, per i quali si è speso quasi come per il c.a.s.e, risultano inutili. 17 mesi sprecati. La città non è in sicurezza.
I cittadini iniziano a svendere gli immobili in centro. Ad un quinto del valore del mercato anti sisma.
In compenso i fitti delle case rimaste in piedi, o "rattoppate" , in periferia e nei paesini, sono raddoppiati. Nella migliore delle ipotesi.
Così lascio L'Aquila. E, ogni volta, il distacco è durissimo. E' come lasciare il congiunto morente. E temere di non trovarlo, al ritorno. Temere di perdere i suoi sguardi. E gli abbracci. E le parole.
Guarderò da lontano, cercando di capire meglio, anche l'opera dei cittadini responsabili. I miei compagni di lavoro. E di lotta.
A presto.

martedì 31 agosto 2010

Una figura adatta allo scopo

Anche il vescovo dell'Aquila Giuseppe Molinari ha provveduto a bollare i terremotati quali ingrati. Ormai siamo abituati. "Berlusconi manca da troppo tempo, ma non è che gli Aquilani siano stati troppo grati nei suoi confronti", questa la brillante dichiarazione resa dal presule che ribadisce il concetto secondo il quale i cittadini sono sudditi che devono ringraziare per gli interventi dovuti e non possono rivendicare i loro diritti. Gli fa eco il presidente della Provincia Del Corvo "Tra Berlusconi e gli Aquilani è solo un fatto d'incomprensioni". E' lampante, però, che il premier non ha intenzione alcuna di venire a fugare le nubi. Si tiene ben lontano dalla città. Però, da lontano, pensa a noi, ci rassicura Del Corvo: "la riunione di fine luglio voluta da Berlusconi la dice lunga. Lui e Letta pensano all'Aquila. Cicchetti vicecommissario?Rafforzamento necessario, è una figura adatta allo scopo".
Bene, è in arrivo un secondo vice commissario. Vice del commissario?Vice del vice commissario? Vice facente funzioni del vice? Vice affiancatore? Non è dato saperlo. Sappiamo, però, chi è Antonio Cicchetti, aquilano di Santi di Preturo. Super manager trapiantato a Roma. Direttore amministrativo dell’università Cattolica del Sacro Cuore e componente della “Famiglia pontificia”, in qualità di gentiluomo di sua santità. All'Aquila ha molteplici interessi economici: con la " Rio Forcella spa" ha costruito e gestisce il San Donato Golf, nel suo Santi, ameno paesino di montagna a pochi chilometri dal capoluogo. Campo da golf con 18 buche, albergo con annessa beauty farm, centro congressi,foresteria di gran lusso con 90 stanze e suite,un nuovo borgo pronto in autunno. Dei giorni scorsi è l'inaugurazione di una variante, finanziata con danaro pubblico, che evita di percorrere la tortuosa strada all'interno del paese e porta direttamente al complesso turistico ricettivo. Ai piedi della variante sorgerà presto un villaggio turistico,sempre ad opera della Rio Forcella spa. I terremotati dovrebbero, ovviamente, essere grati dell'intervento: potranno raggiugere più facilmente il campo da golf e la beauty farm. E non è roba da poco.Esaltante il commento del vescovo, intervenuto all'inaugurazione: "Papa Giovanni Paolo II diceva che la montagna richiama a entità superiori e per questo mi auguro che la Forcella diventi uno stimolo per le altre realtà e rimanga "sana" per i valori, affinché preservi le relazioni autentiche fra i suoi abitanti e non". Tutti felici quindi, abitanti e non, sulla variante, che prevede anche un percorso separato per le macchinette elettriche del campo da golf. Ma Cicchetti è noto alla maggioranza degli Aquilani per essere stato il presidente della Perdonanza Celestiniana dal 2002 al 2004. La presidenza si concluse con l'arresto del direttore artistico e con condanne pecuniarie per molti, fra cui lo stesso Cicchetti. Il danno economico della mala gestione, che procurò una voragine nei conti del Comune, fu stimato pari a ben due milioni di euro. Quindi vice commissario alla ricostruzione:l'uomo giusto, al posto giusto.
Intanto continuano le scosse che interessano la zona nord della città. La protezione civile ha fatto sapere che non sono affari che riguardano loro: che ci pensino i Comuni. Rappresentanti di un popolo ingrato che non ha debitamente ringraziato per la gestione degli appalti dell'emergenza.

sabato 28 agosto 2010

Le carriole alla Perdonanza


Qualche giorno fa, in assemblea, la Signora Gabriella Liberatore ha chiesto timidamente la parola e, altrettanto timidamente, ha detto: "vorrei proporre di portare le carriole alla Perdonanza aquilana. Tutto qui, ho finito". Son rimasta spiazzata. Non avevo mai partecipato al corteo della Perdonanza, ricorrenza laica della città dell'Aquila. Giubileo del Perdono, proclamato con una bolla papale da papa Celestino V, l'eremita del monte Morone.Il papa del gran rifiuto. Bolla consegnata alla municipalità e sottratta alle indulgenze a pagamento offerte dalla Chiesa. Indulgenza per il popolo.Sentivo gli echi del corteo da casa mia, quando avevo una casa. E, da lontano, scuotevo la testa. Troppo anarchica, troppo cavallo pazzo per riconoscermi nella sfilata di autorità, gonfaloni, confraternite ed associazioni. Quest'anno sentivo che i cittadini responsabili avrebbero dovuto partecipare alla sfilata, ma non riuscivo a trovare la forma. Le carriole quindi, proposte al corteo. Le carriole fanno parte della storia della mia città, mi son detta. Le carriole hanno segnato il risveglio delle coscienze e della volontà di tanti cittadini. Hanno segnato la rinascita di un popolo tramortito dall'evento naturale e dall'oppressione di coloro che erano venuti a "salvarci". Ed allora ho realizzato che l'invito di Gabriella era sano. E giusto. L'assemblea ha votato la proposta favorevolmente, ma in molti si sono dissociati. Molti ritenevano che le carriole sarebbero state fuori luogo e, addirittura, ridicole. Sarebbero state bersaglio di vibrato dissenso. Insomma, le carriole si sarebbero bruciate da sole. Fine ingloriosa, ha detto qualcuno. Il dibattito, poi, è continuato su facebook. C'è stato chi ha ritenuto opportuno, pur avendo lavorato con le carriole, di affermare che la partecipazione era inappropriata. C'è stato chi ha sostenuto che chi sarebbe andato in corteo con le carriole lo avrebbe fatto esclusivamente per avere visibilità personale. Chi, con un briciolo di cattiveria, devo dirlo, ha addirittura sostenuto che le carriole cercavano visibilità per scopi elettorali. Alcuni si sono scatenati asserendo che le carriole sono detestate dalla maggior parte della popolazione. Che la partecipazione sarebbe stata un boomerang che si sarebbe ritorto contro tutti. Anche contro coloro che dissentivano dal riportare le carriole in pubblico. E tutto questo ha diviso l'assemblea. Allora mi son detta " ma non è che queste carriole fanno paura?" Ed ho capito che, comunque, sono un testimone forte, fortissimo. L'assemblea aveva deciso, democraticamente, che ognuno avrebbe potuto fare ciò che desiderava. E così è stato. C'è stato chi ha scelto la strada della contestazione, che io, pur accettando, non approvo,poiché non ritengo opportuno il luogo, e l'occasione. C'è stato chi, invece, come me, ha portato le carriole. Ed eravamo una cinquantina. Ordinatamente ci siamo disposti lateralmente sul corso ed abbiamo atteso la sfilata.Ero intimorita, devo dirlo, ma determinata. La paura di essere fraintesa ed addirittura contestata dai miei concittadini è svanita subito. Immediatamente ho percepito l'affetto e l'approvazione negli sguardi dei tanti che percorrevano il corso. E tanti si sono avvicinati a noi, chiedendo i cartelli che avevamo approntato con i nomi delle vie, delle piazze, dei palazzi, delle frazioni. E ci sono stati vicini. Ho taciuto, abbiamo taciuto, al passaggio delle autorità. Abbiamo applaudito i gonfaloni dei paesi, e quelli dei nostri quartieri. Abbiamo applaudito e ringraziato i vigili del fuoco che portavano le spoglie di Celestino. Poi, alla fine del corteo, tra il popolo, abbiamo iniziato a sfilare. E lì è accaduto ciò che non mi aspettavo: abbiamo percorso il lungo tratto, fino alla basilica di Collemaggio, fra gli applausi della popolazione. E gli applausi sono stati solo per noi. E gli sguardi di affetto. E di solidarietà. E noi cantavamo "L'Aquila bella me' te voglio revete' ". E si è pianto di commozione. Tutti. Mi son fermata, li ho guardati gli Aquilani che ci applaudivano ed io ho applaudito loro. "Uniti ce la faremo" ho urlato. Ho incrociato lo sguardo di una signora. Piangeva. L'ho abbracciata. Lei mi ha detto " pensetece vojatri a refalla sta città". L'ho stretta con affetto. Ed ho continuato a cantare. Piangendo anch'io. Delle giovani si sono avvicinate " siamo della Caritas, dateci una carriola". E si continuava a cantare e le persone che ci facevano ala cantavano con noi. Seguivo le mie parole sulle loro labbra. La città ci ha abbracciati. Da qui ripartono le carriole. Testimoni di forza, di speranza, di volontà e di lavoro. Non ci siamo bruciati. Chi non è venuto ha perso tempo ad elucubrare dietro una tastiera. Avrebbe potuto abbracciare con noi la nostra città.

martedì 24 agosto 2010

La democrazia è partecipazione

Praticare la democrazia partecipativa è impresa difficilissima. Soprattutto quando questa nasce dal basso. Dallo sforzo di cittadini volenterosi. Soprattutto, poi, se questi volenterosi vivono condizioni di disagio personale e collettivo quali quelle che induce un terremoto. Lo sforzo di tanti rischia di essere vanificato dal non essere compresi dal resto della cittadinanza. Si corre il rischio di essere visti quali referenti, o, peggio ancora, quali responsabili cui attribuire errori e mancanze. Persone verso le quali esercitare delle critiche, a volte anche spietate, poiché si ritiene che non interpretino i bisogni ed i desideri di tutti. Li si accusa di non essere rappresentativi della cittadinanza. Li si accusa di portare avanti istanze, o bisogni, o proposte nelle quali non ci si riconosce. O, a giudizio personale, non prioritarie rispetto ad altre. Si aspetta, insomma, che questi volontari facciano ciò che il singolo che si rapporta con la struttura dell'assemblea ritiene debba essere fatto. Non si comprende che, per cercare di determinare l'andamento di un movimento di cittadini, occorre partecipare. E partecipare attivamente. Non limitandosi a presenziare agli incontri o, addirittura, a sentirne l'eco da lontano. Occorre portare in assemblea i propri bisogni e le proprie idee, senza aspettarsi che qualcuno li raccolga per portarli avanti al posto nostro, e arrabbiandosi, e allontanandosi,se ciò non avviene. Occorre che ci si faccia carico personalmente delle istanze che si vogliono portare all'attenzione della cittadinanza e delle istituzioni. Occorre che si lavori ad esse, perseguendole strenuamente, e cercando persone, interessate al medesimo problema, che ci possano aiutare nel produrre documenti, e piattaforme rivendicative. E bozze di soluzioni ai problemi. Sono stanca di sentirmi dire che l'assemblea persegue solo gli interessi di alcuni. L'assemblea persegue ciò che sta più a cuore a chi vi lavora all'interno. Partecipate. Abbiamo bisogno di tutti. La città ha bisogno dei suoi cittadini. Non di sterili critiche che a nulla portano. L'assemblea è di tutti ed è aperta a tutti. E se c'è qualcosa che non vi piace, venitelo a dire. E datevi da fare per cambiarla. Anche io ravviso, al suo interno, percorsi che non condivido ed atteggiamenti che non mi piacciono. Personalismi e tentativi di accentramento e prevaricazione.Resto, li evidenzio, li combatto, porto il mio contibuto, accetto il confronto. Anche se durissimo, a volte. E vado avanti.

lunedì 16 agosto 2010

Vivere la propria città

Da anni le mie vacanze del mese di giugno sono in Sicilia. Per l'esattezza, a Siracusa. Nel centro storico di Siracusa: la splendida Ortigia. Luogo d'incanto: un'isola nell'isola. Centro storico abbandonato dai Siracusani negli anni scorsi, e , da qualche tempo, pian piano, in via di recupero. Lo scorso giugno, dopo essere mancata l'anno precedente, e dopo il nostro terremoto, ho visto, per la prima volta, Siracusa con gli occhi di chi ormai è abituata a vedere case cadenti e puntellate. E rovine. E, per la prima volta, ho realizzato che Ortigia è simile ad una città terremotata. Case disabitate, ponteggi, cantieri. Finestre come occhi oscuri che aprono alla vista di interni fatiscenti. Pietre ed intonaci sgretolati. Tanti. Portoni segreti. E soli. E balconi con vecchie piante arse dal sole. Assetate ed orfane di mani premurose. Ed ho realizzato che è proprio questa condizione che me la fa amare. Città vera, che non si nasconde. Che mostra le sue ferite. E va orgogliosa delle medicazioni che lentamente si vanno operando. Ed è piena di vita: negozi e negozietti, bar, ristoranti e musica e voci. E odore di pane caldo e brioches. E granite e gelati. E il mercato: vivo, vivissimo. I banchi pieni di meraviglie del mare e della terra. E le spezie. E l'odore dei peperoni arrostiti sulla brace, del finocchietto selvatico. Dell'origano. E le grida dei venditori che ti invitano a comprare. E mi son detta, ci siamo detti, con mio marito, che forse potremmo vivere in quel posto. Mare, e storia, e arte. E mito.
La mia amica Giusi Pitari http://giusipitari.blogspot.com/è in vacanza lì. Sta per tornare in questi giorni. E, su facebook, scrive di Ortigia. Le faccio notare quanto io ho notato: una città ferita, ma viva. Ci fa eco l'amico Marco Morante, giovane architetto aquilano, e ci invia un link http://www.collettivo99.org/?page_id=693 al sito del suo collettivo.
E da qui nasce il mio proposito, da perseguire con tenacia. Voglio chiedere la riconversione del centro storico della nostra città. Voglio negozi, e ristoranti, e bar, e gallerie d'arte,e luoghi d'incontro. Voglio che gli Aquilani vivano la ricostruzione e ne prendano coscienza. Voglio che i bambini di oggi imparino a diventar grandi in un luogo bello, da amare e curare. Voglio che i giovani non abbandonino il centro, la città vera, per i centri commerciali anonimi ed avvilenti. La loro città, quella che hanno sempre vissuto, prima di quel 6 aprile, come luogo di incontro e divertimento. In mezzo al bello della storia. Che non va dimenticata. Voglio che gli anziani tornino fra le loro pietre, a raccontarci la loro memoria.Voglio che il turista non arrivi più qui, nel nulla. A fotografarsi vicino alle rovine. Voglio che trovi un luogo vissuto e curato. E amato.
Questo è un proposito dal quale ripartire. E trovare vigore e speranza.

venerdì 13 agosto 2010

E' faticoso

Scrivo poco, lo avrete notato.
Mi domando perché. E non so darmi risposta. O meglio, non so darmi la risposta che mi piace. Per non farmi male, non mi rispondo.
E' faticoso vivere in un luogo non tuo. In un luogo che non hai potuto scegliere.
E' faticoso vivere in un paesino, quando sei abituato ad una città.
E' faticoso vivere la tua città che è diventata un non luogo. Ma tu vuoi viverla a tutti i costi.
E' faticoso vedere le persone spaesate, sgomente, tristi e rassegnate. Incerte del domani.
E' faticoso constatare che chi lotta con te viene strumentalizzato dai soliti meccanismi dell'Italia del berlusconismo. Anche quello di sinistra.
E' faticoso vedere i personalismi esasperati che bruciano la spontaneità della partecipazione.
E' faticoso stare insieme a chi non è propenso all'ascolto. A chi si parla addosso e pretende di indicarti la strada giusta. Invece di cercarla insieme con te.
E' faticoso prendere atto che gli sforzi della cittadinanza attiva a nulla valgono. Chi deve decidere, amministrazione comunale in testa, pur riconoscendo, solo a parole, i meriti dell'assemblea cittadina, ti passa sopra come un treno. Decide. Nelle stanze chiuse. Con i soliti noti. In barba alla partecipazione dei cittadini ed alla trasparenza delle amministrazioni. Sbandierate come valori propri, ma lontane anni luce dalla politicuccia di quart'ordine che neanche un terremoto è riuscito a smuovere.
E' faticoso riconoscere che, se mostri dissenso, sei sotto schiaffo. Anche di alcuni che si dicono tuoi compagni di cammino.
E' faticoso esercitare la democrazia in questo scorcio di estate.
E' faticoso decidere di restare a lottare. Di non chiudersi nel proprio guscio. A stare a guardare.
Vai avanti, ché hai le spalle forti.
Buon Ferragosto a tutti.
Che la mezza estate vi porti serenità e voglia di partecipare.
Anche se è faticoso.

venerdì 6 agosto 2010

Sedici mesi

Son trascorsi sedici mesi esatti da quella notte che ha cambiato la vita di centomila persone. E che ha spento 308 anime. E, nonostante tutto, L'Aquila, già ferma, già ferita,già esausta, va in ferie. E' giusto che sia così: una sorta di normalità. Non avevo mai abbandonato la mia città nei mesi estivi. Amavo trascorrere l'estate a casa mia. Nella città meravigliosa e deserta. Deserta per scelta, non per obbligo. E allora erano passeggiate solitarie nei vicoli ombreggiati. Era fermarmi a sedere su un gradino. A guardare il cielo. Fra le pietre scolpite. Le finestre austere e i portali dei cortili segreti. Era spiare le case deserte. E sentire lo scroscio delle fontane. Chinarsi a bere l'acqua saporita. Gelata sui denti. E poi tornare a casa e godere di quella terrazza che era la mia gioia ed il mio vanto. E pensare, orgogliosa, che la solitudine di quel posto, sui tetti, vicino al cielo, fosse meglio di qualsiasi luogo di villeggiatura. Affollato ed afoso. La mia villeggiatura era il silenzio dei quei luoghi di sempre. Era un gelato con le fragoline di bosco, raccolte nelle passeggiate in montagna. Erano i rintocchi del campanile del Duomo. Così vicino a quella terrazza amata. E nitidi, nel silenzio. E le rondini, le gazze, i passeri. E la storia che correva su quei muri. E nelle mie vene. La consapevolezza di essere fortunata.
Lo scorso anno, in agosto, ero a Roma. Per la prima volta, dopo quattro mesi,e per qualche settimana, in una casa. Ancora sconvolta. Grata alla sorte solo di essere viva. Ma confusa. Con il cuore spezzato e la paura che covava dentro.
Oggi sono ancora fra questi monti. Tenacemente attaccata a questi monti. A dirmi, come prima, che l'estate qui è bella. Anche senza la mia casa. Anche senza la mia vita di prima. Mi sento sola, a volte. E triste, sempre. Anche se rido e sorrido alla vita. Che c'è. E va vissuta. La memoria resta con i ricordi. Vivissimi. La speranza va e viene. La forza di andare avanti, e lottare, giunge dalla consapevolezza che altro non si può fare.
Tra qualche giorno le stelle cadenti. Quelle dei desideri di bambina.

venerdì 30 luglio 2010

Si continua a lavorare

Il buono di un'assemblea cittadina è ,ovvio, il confronto di tante anime diverse. E' il parlare, l'analizzare, il valutare. E' l'addivenire a conclusioni ed azioni partecipate e condivise. C'ero caduta, io, anima ribelle, nel tranello che ci è stato teso. Ero pronta alle barricate. La rabbia accumulata in tanti mesi di sofferenze naturali ed imposte mi faceva perdere di vista il nocciolo della situazione. La protezione civile è autorizzata ad intervenire anche in emergenze di tipo sociale. E la reazione violenta che avrebbero potuto scatenare le dichiarazioni del presidente del consiglio avrebbe creato terreno fertile per un intervento di questo tipo. Nonché un'ulteriore divisione fra la cittadinanza. Il nostro lavoro non ha colore politico. E' il lavoro dei cittadini per la città.Nell'assemblea straordinaria convocata ieri pomeriggio, si è deciso di continuare il lavoro intrapreso da mesi. Quello della democrazia partecipata che nasce dai bisogni dei cittadini. Una lettera aperta al Presidente Napolitano chiarirà la nostra posizione di rifiuto netto di una nuova occupazione del nostro territorio. E dell'annientamento delle istituzioni locali, democraticamente elette dalla popolazione. E si va avanti con il nostro lavoro, grazie al quale, dopo dieci mesi di azzeramento della democrazia, si è iniziato a vedere uno spiraglio di libertà. E la vera rinascita.Si inizierà a stilare la legge speciale per la città dell'Aquila, quale iniziativa popolare che dovrà raccogliere cinquantamila firme su tutto il territorio nazionale. E si monitora il percorso della bozza del regolamento della partecipazione, stilata dall'assemblea,affinché venga discussa ed approvata dal Consiglio comunale in tempi ristrettissimi. E si elabora un piano di ricostruzione. E la nostra idea di città.
Le mosse di Berlusconi Bertolaso, se ci saranno, non ci troveranno impreparati.

giovedì 29 luglio 2010

Non passeranno

Il terreno, la cricca, lo ha preparato sapientemente. Va via alla fine di gennaio, dopo aver sperperato ed intascato il danaro pubblico nella fase della prima emergenza. Senza regole. Senza leggi. E senza aver risolto i nostri problemi. Lasciandoli qui, a gravare tutti sulle nostre spalle. Pura operazione di immagine e di propaganda di governo.Va via lasciando 220 milioni di debiti: alberghi da pagare ed autonome sistemazioni, per coloro che si sono arrangiati da soli. Ed inizia il balletto: i soldi ci sono a giorni alterni. Un giorno si dice che ci sono, il giorno dopo si smentisce. Di fatto non ci sono. E le amministrazioni non possono muoversi. Il malcontento cresce per via dell'immobilismo dovuto alla mancanza di fondi. Intanto la cittadinanza attiva inizia a farsi sentire fuori dalle nostre mura, varcando i limiti imposti dalla gestione militare ed autoritaria della protezione civile. L'Italia comincia a capire lo scempio e la menzogna perpetrati sulla nostra terra. Gli Aquilani iniziano a rialzare il capo. Iniziano a respirare. Ed a chiedere chiarezza.
Ma poi, il coup de theatre: il presidente del consiglio ieri annuncia che tornerà a salvarci, con la protezione civile. E butta lì cifre bugiarde e truccate come lui. Parla di 13 miliardi di euro disponibili subito. Quando nessuna legge e nessun decreto li ha mai stanziati. Ma gli ingenui creduloni grideranno al miracolo. Anche qui in città, ne sono certa. Mentre la banda distruggerà il futuro dei loro figli. Gettando le basi per la più grande speculazione immobiliare della storia d'Italia. E Bertolaso, l'indagato Bertolaso, aveva aperto la strada qualche giorno fa:"quando c’è un ostacolo che non si sa come risolvere, ci si inventa delle regole, che dovrebbero risolvere, ma purtroppo non è così". Regole, cioè, leggi. Che non piacciono all'amico di Anemone. E' abituato a non usarle.Parla di interventi concreti fatti dalle persone. Il resto non conta. Le leggi dello stato italiano sono per lui e la sua cricca solo un intralcio.
Ma ora qualcosa è cambiata: i cittadini responsabili sono cresciuti e si sono uniti. E si sono organizzati.
Ci opporremo con tutte le nostre forze. E L'Italia per bene deve stare con noi. Anche se è estate. Anche se si va in vacanza.
Ci opporremo con tutti i mezzi. Primo quello della legalità. E contro le menzogne di un uomo, e della sua banda, che qui NON PASSERANNO. La lotta sarà ancora più dura e difficile, ché i mezzi di persuasione occulta, atti a mistificare la realtà, ed a trarre beneficio in termini di consensi e di clientela, sono macchine da guerra. E i metodi forti, quelli che usano cordoni di polizia e manganelli,li conosciamo fin troppo bene. Ma noi siamo pronti a tutto. Rivolta, se necessario.E barricate.

mercoledì 28 luglio 2010

Il PD, questo sconosciuto

Chi segue da tempo il mio blog sa che ho monitorato il terremoto aquilano già dalle scosse precedenti al 6 aprile e che ho raccontato e racconto di quello che è accaduto dopo. Ho scritto delle nostre condizioni, della condizione della mia città, dei miei stati d'animo, di quelli delle persone a me vicine. E l'incontrarsi, l'organizzarsi dei cittadini attivi. Iniziammo da subito a creare un movimento di persone che non volevano stare a guardare. E ne abbiamo fatta di strada, da allora. Tra alti e bassi, momenti di esaltazione, e di sconforto. Abbiamo vissuto la frustrazione di sentirci soli di fronte a chi ci stritolava. Soli e pochi a lottare contro un mostro tanto più grande di noi. Ora vi invito a leggere questo mio post del 30 maggio 2009, soffermandovi sulle ultime quattro righe.
Sì, chiedevo aiuto. Sentivo che soli non ce l'avremmo fatta. E, invece, ce l'abbiamo fatta. Con sacrificio e tanta costanza.
Ieri pomeriggio, sedici mesi dopo il terremoto, sono giunti a L'Aquila quattro autobus bianchi. Recavano centoquaranta deputati del PD, la stragrande maggioranza dei quali erano all'Aquila per la prima volta dopo la tragedia. Tutti per la prima volta in veste ufficiale. Potete bene immaginare il mio stato d'animo. Ero arrabbiata. Arrabbiatissima. Anche se cercavo di celare il sentimento dietro il sorriso e l'indifferenza. Il timore che l'Assemblea cittadina possa divenire strumento nelle mani di chi arriva dopo così lungo tempo a cavalcare una visibilità che ci siamo guadagnati sul campo, con sacrifici inenarrabili e anche tanto dolore, era tangibile all'interno del presidio di piazza Duomo. I tavoli allestiti , con quattro microfoni,di fronte alle sedie che avrebbero dovuto ospitare la platea, facevano pensare che i deputati avrebbero tenuto una sorta di comizio di fronte agli Aquilani, dopo il tour fra le macerie della zona rossa. Noi ad ascoltare il loro verbo. E credo che questo fosse il programma stabilito. Ma quando il nostro Ettore Di Cesare ha preso in mano il microfono ed ha annunciato che avrebbe condotto lui l'assemblea, in quel luogo che è sede della nostra assemblea permanente, mi sono chetata. Ed ho capito che le cose avrebbero preso una piega diversa.
E i deputati, con Bersani e Franceschini in prima linea, altro non hanno potuto fare che star lì, ad ascoltare. Vari cittadini si sono succeduti al microfono. Ognuno con la sua storia. Ed è emersa la bocciatura che tutti hanno conferito ad un partito che era e dovrebbe essere del popolo e che, invece, dal popolo si tiene ben lontano. Pesavano come macigni le parole che erano di accusa per l'assenza dal luogo della tragedia, nel momento in cui avevamo maggiormente bisogno, e di duro rimprovero per le assenze e le astensioni alla votazione del Decreto Abruzzo, nonché al momento di dover sostenere la tassa di scopo per il nostro terremoto. I deputati presenti ieri erano, invece, assenti in Parlamentoo,quando si votò l'emendamento. Assenti in 54. E la bocciatura fu per una manciata di voti. I deputati hanno ascoltato, senza chiedere di parlare. Hanno dovuto incassare il colpo. Nulla c'era da controbattere. Gli Aquilani sono usciti vittoriosi dal confronto. Vittoriosi per coerenza e dignità. Una trasferta positiva, ha commentato Furio Colombo. Positiva senz'altro per loro, ché da noi hanno soltanto da imparare. Quindi si è passati, con la parola a Bersani, all'assunzione degli impegni: si faranno promotori di una legge speciale per L'Aquila e quella legge sarà scritta da noi Aquilani , sotto quel tendone, per l'iniziativa popolare che abbiamo deciso di intraprendere. Hanno assunto l'impegno di aiutarci a raccogliere le firme in tutta l' Italia. Resto scettica, amici miei. Ma un'immagine di speranza voglio lasciarvela. Eravamo in tantissimi. Il tendone era diventato improvvisamente piccolo. Piccolissimo.E quando è iniziato a piovere, a diluviare, le sedie predisposte all'interno hanno iniziato, all'unisono, a spostarsi in avanti, sempre più avanti. Sempre più le une vicine alle altre, sempre più a ridosso del tavolo con i microfoni. Per cercare di dare spazio a coloro che, numerosi, erano all'esterno.Erano gli Aquilani che si stringevano per fare posto agli altri Aquilani. E' stato un momento intenso e commovente. E simbolico. Insieme possiamo farcela. Proveranno a dividerci. Già lo stanno facendo. Dobbiamo resistere anche a questo.
Questo il link della registrazione dell'assemblea di ieri

martedì 27 luglio 2010

La passerella

La passerella era la seguente: Vittorio Lampugnani ,architetto urbanista che ha partecipato al processo di ricostruzione di Berlino, Cesare Trevisani ,vicepresidente per le infrastrutture, logistica e mobilità di Confindustria, Paolo Leon ,economista, professore ordinario presso la facoltà di Economia dell'Università di Roma tre e Aldo Bonomi ,sociologo, dirigente dell'Istituto di ricerca Aaster (associazione agenti sviluppo territorio di Milano). La location era il Ridotto del teatro Comunale dell'Aquila. Gran cerimoniere Gianni Chiodi, commissario delegato alla ricostruzione e Presidente della Regione Abruzzo. Comprimario: il sindaco dell'Aquila Massimo Cialente. Figurante: Gaetano Fontana, capo della struttura tecnica di missione. Buttafuori: Giorgio De Matteis, vice presidente della Regione.I partecipanti erano a numero chiuso. Il criterio per individuali: arcano.L'argomento: "L'Aquila 2020, e poi?". I cittadini: un optional. Questo il convegno tenutosi ieri pomeriggio e pubblicizzato come l'inizio dei lavori per costruire L'Aquila del futuro. La realtà è ben'altra: nessuno degli intervenuti ha idea di cosa sarà della nostra città. I grandi saggi erano qui, ieri, per la prima volta nella loro vita. Erano ancora sconvolti dalla visita fra le macerie del centro storico e dicevano cose di buon senso. Quelle stesse cose che noi cittadini responsabili diciamo dal 7 aprile. Ma la regia dell'evento non aveva previsto, mettendo le camionette della polizia all'ingresso, che i veri protagonisti della pomeridiana sarebbero stati i cittadini attivi. I convenuti hanno dovuto fare buon viso a cattivo gioco: ammettere pubblicamente che la partecipazione della cittadinanza è fondamentale nel processo di ricostruzione sociale ed urbana. Parole, per ora. Solo parole. Ma il viso contratto del buttafuori De Matteis tradiva nervosismo, mentre anch'egli era costretto ad asserire l'importanza della partecipazione. Salvo poi affermare, in separata sede, davanti ai giornalisti, che si vedrà chi applicherà la politica del fare e chi, invece, sa solo contestare. Eppure il cane da guardia è stato messo al corrente dei lavori dei cittadini attivi. Il Presidente Chiodi ha affilato un paio di gaffe da avanspettacolo. Una all'inizio ed una alla fine della farsa. La prima è stata quella di asserire, a meno di una settimana dall'aver asserito l'esatto contrario, che i soldi per il nostro terremoto ci sono. E sonanti. "Direttamente dal governo, sul mio conto personale". All'esplosione della sala si è corretto :"conto personale di commissario delegato". Ha riso, abbiamo riso. E poi l'ultima, a chiudere: "siete invitati al coffee break offerto dalla ditta tal dei tali" E questa sì che è una gaffe sostanziale: il coffee break prevede una ripresa dei lavori. Come, immagino, fosse stato programmato. Invece i lavori sono stati chiusi quando non si sono potute arginare le domande dei cittadini. E' stato un "the end coffee". Molto gustoso, per altro. Di sicuro non era previsto per i semplici cittadini. Ma per "personalità", non meglio identificate, come lo stesso Chiodi aveva annunciato all'inizio, e suorine biancovestite accorse numerose. Ci si vede alla prossima puntata. Si spera con delle idee da parte degli stimatissimi luminari. Noi le nostre già le abbiamo. Pronte per il confronto.

Per chi volesse capire meglio di cosa parlo ed avesse un po' di tempo da investire:

giovedì 22 luglio 2010

Cassandra

Brutto ruolo quello di Cassandra. E scomodo. Sei inviso ai più. E osteggiato. E deriso. E isolato. Eppure parli di cose facilmente prevedibili. Guardi i fatti, li analizzi, e trai le tue conclusioni.
Questo scomodo ruolo è quello assunto dagli Aquilani responsabili. Coloro che non si sono affidati ciecamente alle mani del Governo. Coloro che hanno tentato, nel silenzio più assoluto, di denunciare le cose che non andavano. Ma si combatte contro una mostro quasi invincibile che sa come manipolare le menti. E sa come trovare alleati e sudditi. Ora in città si dibatte sul danaro. C'è o non c'è? Il Governo lo ha messo a disposizione solo nominalmente, opppure in soldoni sonanti? Nel continuo rimpallo di responsabilità, quello che ci vede attanagliati da quindici mesi, gli Aquilani ancora non riescono a capire. Ci sono i soldi per gli sfollati , ancora quarantamila ?E per la ricostruzione delle nostre case? Per gli hotel, per il misero contributo di autonoma sistemazione, per i puntellamenti? Cialente, lo sapete, è uscito allo scoperto già da qualche mese. "I soldi sono finiti" tuona. Chiodi sosteneva ci fossero. Ben nascosti, ma ci fossero.Noi cittadini responsabili sapevamo che erano stati spesi dalla protezione civile per le c.a.s.e. e per la dissennata gestione dell'emergenza.Spesi senza rendere conto. Con appalti misteriosi e subappalti misteriosissimi. Spesi per pagare case a 2.700 euro al metroquadro. Più di un miliardo e cento milioni di euro per allocare meno di un terzo degli sfollati. Spesi in presine e sottopentole. In cestelli portaghiaccio e flute. In stendini per la biancheria e mobili mondoconvenienza. In piastre antisismiche che sorreggono case già antisismiche di per sé. In lavastoviglie e piumini Ikea. In televisori ultrapiatti e piatti e bicchieri e pentole e chi più ne ha più ne metta. E ancora in migliaia di persone negli hotel, a più di 50 euro al giorno. E nelle tende, allo stesso prezzo. E la popolazione credulona e miope è stata gabbata. La protezione civile è andata via lasciandoci il m.i.r.a.c.o.l.o. e 70 milioni di debiti. Quelli scoperti fino ad ora. E un Comune già disastrato che ha dovuto anticipare 15 milioni per tamponare i pagamenti. Il commissario alla ricostruzione, nonché presidente della regione Abruzzo, nonché PdL, Chiodi non può più sostenere l'insostenibile. Ha ammesso che il danaro non c'è. E pubblicamente. Promettendo di accorrere ai piedi di Tremonti per pietirlo. E questo dopo aver rifiutato da giorni , poiché sempre molto impegnato, il confronto con i cittadini in assemblea. Protezione civile sparita, danaro finito, quindi. Niente cricca, niente soldi. La festa è finita.E bisogna ricorrere sempre alle provocazioni, per ricevere un po' di attenzione. Proprio come i bambini trascurati dai genitori. Oggi sono gli albergatori che minacciano di buttare sulla strada gli sfollati. E noi 27mila in autonoma sistemazione, la maggioranza della popolazione assistita,che non riceviamo il misero contributo di 200 euro mensili dal mese di marzo, per essere presi in considerazione,dovremmo forse minacciare tutti di andare a dormire a palazzo Grazioli? Ah già, non possiamo: sotto il portone ci manganellano.

martedì 20 luglio 2010

Odor di dimissioni

Il sindaco Cialente minaccia da tempo di dimettersi. Minaccia noi cittadini. Minaccia il consiglio comunale. Paventò di abbandonare il timone della città terremotata anche a me personalmente. Era gennaio scorso, ed ero andata in Comune per intervistarlo. E' tornato a farlo ieri. E scommetto che stavolta è la volta buona. Nell'ultimo consiglio comunale i consiglieri di centro destra hanno abbandonato l'aula al momento della votazione. Si dibatteva sull'individuazione dei dieci punti strategici per la ricostruzione del centro storico del capoluogo e delle frazioni. Punto nodale e decisamente in ritardo, a quindici mesi dal sisma.La minoranza ora chiede le dimissioni. La maggioranza lascia sempre più solo il primo cittadino. Con continue defezioni. I giochi sembrano essere fatti. Presto alle elezioni. Ma in città l'aria di campagna elettorale spira già da qualche tempo. Esattamente da quando la sinistra ha perso le elezioni provinciali. In aprile.Tutti sappiamo, non vi dico nulla di nuovo, che, improvvisamente, in campagna elettorale si iniziano a prendere in considerazione le richieste ed i bisogni dei cittadini. A farsene paladini. Anche se sono stati ignorati e calpestati, quando si era nelle stanze del potere.Cialente non dice ancora la parola definitiva. Conferma che sta valutando le dimissioni :"farò la cosa più giusta per la città ,come ho sempre cercato di fare sia prima del terremoto, sia subito dopo aver messo in salvo la mia famiglia. Dalle 4 del 6 aprile 2009". Posso sbagliare, ma a me queste parole sembrano il preludio alla dipartita. Politica, ovvio. E allora capirete bene che un'assemblea cittadina permanente, nella quale, dopo inenarrabili sacrifici di noi volontari, si è riusciti ad aggregare parecchie anime, sotto l' obiettivo comune della ricostruzione partecipata,diventa molto appetibile. In termini di consensi elettorali. C'est la vie, direbbe il saggio. C'è la vie, voglio dire io. E potrebbe anche essere un bene per la città. Candidati che si assumono responsabilità di rappresentanza vera in un luogo di democrazia partecipata. Se l'assemblea cittadina dovesse, in virtù delle probabili elezioni, divenire finalmente il luogo di confronto dei cittadini con i propri rappresentanti attuali e gli eventuali futuri, di tutti gli orientamenti politici, ed esprimere anche un nuovo soggetto politico, significherebbe che il lavoro che abbiamo fatto fin'ora non è stato vano. Se dovessimo, invece, diventare lo strumento ed il viatico di un unico partito, allora significherebbe che la pluralità di vedute e l'inclusività della popolazione che abbiamo fortemente auspicato da più di un anno, amici miei, è andata a farsi benedire.

giovedì 15 luglio 2010

Di ricostruzione

"Ricostruzione: strategie per il futuro", questo il titolo del convegno che si terrà a L'Aquila il giorno 26 luglio e che è stato presentato, stamani, in conferenza stampa dal Commissario delegato alla ricostruzione,Chiodi, dal vice commissario Cialente e dal capo della struttura tecnica di missione Fontana. Bello il titolo. Di quelli che infondono speranza. E sentir parlare di ricostruzione, per noi che da quindici mesi brancoliamo nel buio dell'incertezza, è confortante. Chi decide in merito ha scelto un pool di sei luminari. Tutti fuori dal territorio. Poiché, apprendo dal commissario Chiodi, è sbagliato essere autoreferenziali e bisogna aprirsi alle eccellenze nazionali. Poco importa che si sia Aquilani e si conosca il territorio meglio di chi arriva da fuori. Meglio affidarsi ad urbanisti, sociologi, architetti ed economisti che poco o nulla ancora sanno della nostra terra. E di noi. E delle nostre esigenze. Il convegno, ho appreso, sarà aperto al dibattito. Noi ci auguriamo sia vero. E che ci sia spazio anche per i cittadini. Saremo in prima linea per portare le nostre idee e bisogni. E per cercare di capire cosa ci aspetta. Se, cioè, questa struttra di missione che dovrà elaborare le linee guida del nostro futuro vorrà tener presenti i cittadini proprietari. Coloro che da quindici mesi, e per moltissimi anni ancora, non hanno e non avranno la loro casa. Dopo le belle parole delle quali i rappresentati delle istituzioni sanno sempre fregiarsi, parole che restano spesso sospese nel vuoto, lasciando tanti interrogativi, si è dato spazio alle domande dei giornalisti. In verità solo due. Ed entrambe non parlavano di partecipazione, bensì chiedevano a chi si pensa debba decidere dall'alto, qualche lume sulle modalità della ricostruzione. La nostra Anna Lucia Bonanni, con un colpo di mano mal digerito dalle istituzioni, ha chiesto di non perdere di vista i problemi reali delle persone che vivono ancora in piena emergenza. Ha chiesto risposte concrete ed immediate. "Agiremo di pari passo in entrambi i sensi" è stata la replica unanime di Cialente e Chiodi. Ho, quindi, alzato la mano perchè avrei voluto porre un quesito da cittadina proprietaria. Avrei voluto chiedere in quale misura i proprietari potranno decidere delle loro abitazioni che giacciono nell'abbandono totale da quel 6 aprile. Se potranno fare progetti da sottoporre all'unità di missione, se potranno scegliere ditte e tecnici. Se potranno unirsi in progetti comuni e concordati. Se vedranno i loro diritti garantiti. Se il principio di sussidiarietà, sancito dall'articolo 118 della costituzione italiana, sarà rispettato. E quella era senz'altro la sede migliore nella quale avanzare i miei dubbi.Ma l'opaco moderatore della conferenza, un "giornalista" della Regione Abruzzo, Carlo Gizzi, ha ritenuto perentoriamente che non fosse il caso che i rappresentanti dei cittadini, riconosciuti e salutati dalle stesse istituzioni, avessero diritto di parola. E di replica. Mi ha fatto pena il povero Gizzi: un Aquilano che nega la parola ai suoi stessi concittadini. Un Aquilano che esercita il misero potere di zittire chi potrebbe parlare di dubbi ed istanze che potrebbero essere anche i suoi. Bene così. Siamo pronti per il 26 luglio.