sabato 11 giugno 2011

Vado

I miei lettori, che sono ancora tanti, nonostante io scriva su questo blog sempre più di rado, riescono ancora a commuovermi ed a rafforzare in me la convinzione che, senza di loro, senza di voi, sarebbe stato ancor più difficile affrontare la mia tragedia. Scrivere, raccontare, mi ha fatto bene. Oggi la mia vita è talmente strampalata, senza alcun punto fisso, senza nessuna certezza, neppur minima, senza obiettivi concreti,senza punti di arrivo, da rendermi difficile fare quello che mi darebbe gioia e quello che, in tanti, continuate a chiedermi: scrivere. Il mio umore è così cangiante: oggi a terra, quando mi sembra tutto impossibile, domani speranzoso, quando riesco ad immaginare che riusciremo a farcela, noi Aquilani. Insomma, amici cari, è dura. Sempre più dura. Ho, dopo più di due anni, ritegno a tediarvi ancora con le mie paure, che sono quelle di tutti noi sopravvissuti, senza casa, senza riferimenti, senza più radici. E ho quasi vergogna nel ripetermi, nel dire che qui, se possibile,è ancora peggio di due anni fa. Abbiamo bisogno di credere in qualcosa, di alimentare la speranza, ma tutto sembra impedircelo, dall'inettitudine di chi ci governa, allo squallido spettacolo dell'Italietta dell'orticello di casa. Fino a chi del nostro dramma sta facendo profitto. "Gli aquilani sono colti, orgogliosi, testardi. Qualcuno li chiama gli snob dell’Abruzzo: non li abbiamo mai visti piegati, vinti. Sono gente di montagna, forgiata da un passato di bellezza, cultura e potere, che negli ultimi due anni ha vissuto lunghi mesi nelle tendopoli facendo la fila per mangiare e andare in bagno, ha perso amici, parenti, conoscenti, gente che in moltissimi casi non ha più un lavoro né una casa ma deve continuare a pagare il mutuo di quella che aveva appena comprato". Queste le parole che Daria Bignardi affida al suo blog, dopo essere stata all'Aquila, per la prima volta, nei giorni scorsi. Ha saputo fare un'analisi lucida, in questo post http://barbablog.vanityfair.it/2011/06/05/riavro-la-casa-il-lavoro-la-chiesa-la-vita/. Le parole degli altri, oggi, sono più efficaci delle nostre, che viviamo la tragedia da mesi e che abbiamo quasi timore di continuare a ripeterci. Ci diamo da fare, tanto. E la fatica ci rende nervosi ed intransigenti, anche fra di noi che lottiamo e lavoriamo tanto da quel 6 aprile. Vorremmo che la nostra rabbia fosse quella di tutti, ma la rassegnazione per molti è in agguato. Me ne vado via per un po', nella Sicilia che amo. Lascio una casa che tutti i giorni qualcuno mi ricorda che non è mia, pur pagando, con grande sacrificio, un fitto salatissimo, ed i miei cagnolini adorati. Voglio tentare, per tre settimane, di essere "normale". Se qualcuno mi chiederà di dove sono, dirò "vicino Roma". Sento l'esigenza di non sentirmi terremotata, di non sentirmi commiserata. O considerata ingrata. Al ritorno, lei sarà ancora qui ad attendermi: sventrata, incerottata, morente. Ancora tenacemente bellissima.