giovedì 29 ottobre 2009

Il nemico

Bertolaso è uomo tutto d'un pezzo. Si fa come dice lui. E non si discute. "Case e non container per gli sfollati" tuona dall'alto della sua cattedra. Dimentica però di mettere i puntini: c.a.s.e. " Voglio tornare qui, fra uno o due anni, e incontrare persone che vivono serenamente nelle case che gli abbiamo dato. Non voglio trovare gente che si lamenta perché vive nei container, al freddo d'inverno ed al caldo rovente d'estate". Toni decisi, da duce. Probabilmente, oltre agli alloggi, fornirà anche la serenità, che, come tutti sappiamo, si vende a peso, nei supermarket.Sulla stessa linea il suo suddito e dipendente dottor Fabrizio Curcio che è intervenuto ieri all'assemblea cittadina, voluta dai comitati, alla quale non hanno partecipato la Provincia, né la Regione, né il nostro plenipotenziario. Ha inviato un emissario. Indottrinato, ma sprovveduto. E' pateticamente caduto davanti alle domande degli Aquilani. E ha fatto la figura del cretino. Il sindaco era presente, ed è riuscito a barcamenarsi fra le istanze pressanti degli sfollati. Ha buona scuola di partito alle spalle. Le richieste erano chiare: moduli abitativi alternativi alle tende, da posizionare nei campi d'accoglienza per coloro che non intendono o non possono lasciare la nostra città, chiarezza sul metodo di assegnazione delle abitazioni del piano c.a.s.e., e trasparenza su tutte le spese che la protezione civile opera sul business terremoto. Le conclusioni? Poche e deludenti. Ci è stato detto che per avere delle case mobili è necessario bandire appalti ed aspettare tempi lunghi. Ovvio che ciò suoni quantomeno strano, alla luce del fatto che, per allestire assi viari inutili, aereoporto altrettanto inutile, poichè mai utilizzato, e faraonici alloggi per i "grandi" della terra si è impiegato poco più di un mese. Basti pensare che un modulo removibile, in classe A, agevolmente e dignitosamente abitabile a lungo termine, costa settemila euro a persona. Uno sfollato in hotel o in tenda costa millecinquecento euro al mese, che, per sei mesi, porta a novemila euro, fino ad oggi. Di fronte a queste cifre schiaccianti, la protezione civile, nella persona del dott. Curcio, non ha saputo rispondere. Così come, miseramente, è caduta di fronte all'evidenza che il piano c.a.s.e. è un fallimento totale. Il dottore ha sostenuto di ignorare quale fosse il numero degli sfollati, quando si è pianificato lo scempio. Gli abbiamo risposto che noi, cittadini, lo andiamo urlando dal mese di maggio quel numero. La protezione civile lo ignorava. Gli abbiamo fatto notare che il metodo Augustus è stato applicato su questo territorio come in un laboratorio. Noi le cavie. Ignorava, il poverino, cosa fosse il metodo Augustus. Eppure è chiaramente riportato sul sito della protezione civile. Ed è un documento che si occupa di pianificazione nel campo delle emergenze. Qui lo potete leggere tutto (http://www.ispro.it/wiki/images/9/95/Metodo_Augustus.pdf). Io ve ne offro qualche stralcio:
"La popolazione è comunque sempre coinvolta nelle situazioni di crisi, sia emotivamente (teme di essere toccata dagli eventi, partecipa ai problemi di chi è coinvolto), sia fisicamente (se non ha subito danni, comunque è costretta a sopportare disagi).
[...]Se la sua controparte istituzionale sarà sufficientemente autorevole e determinata, la maggior parte dei cittadini sarà disponibile ad abdicare alle proprie autonomie decisionali, a sottoporsi a privazioni e limitazioni, ad “ubbidire” alle direttive impartite.
[...] Un chiaro piano di comunicazione [...] permetterà una più agevole accettazione delle misure adottate. Non solo: qualora il precipitare degli eventi lo rendesse necessario, sarà più facile imporre una disciplina più ferrea e chiedere sacrifici più duri. [...] E' inutile perdersi in dettagli poco importanti, per esempio parlare della reazione incontrollata di una piccola parte della popolazione, quando la comunità si è comportata, in generale, in maniera corretta."
Con la protezione civile non si discute, si deve solo obbedire. Dispone di un esercito di un milione e trecentomila fra volontari, impiegati e funzionari. Una macchina da guerra che spadroneggia e dispone come meglio crede. E lucra vergognosamente. I cittadini? Numeri e basta, in attesa di essere collocati nelle costosissime casette finte, ma , se ci ammaliamo, il nostro ospedale è ancora nelle tende, anche il laboratorio di analisi. E la situazione è disperata.
Voglio concludere con una nota positiva, della quale do pieno atto al sindaco Cialente. Si è impegnato ad incontrare i cittadini una volta al mese per cercare di prendere decisioni condivise. Ormai si è capito che qui il nemico principale è la Protezione Civile.

sabato 24 ottobre 2009

La dura realtà

Sono rientrata a L'Aquila. Ho una casa dignitosa e calda. Frutto esclusivo della mia ricerca. Mi autogestisco senza aiuto di sorta. Vado avanti, senza lavoro, finché ce la farò. Sono fortunata, nalla mia disgrazia. Ecco il video di chi non ha potuto fare altrettanto. Di chi è lasciato solo. Questa è la verità che, fuori dalla nostra città, la maggior parte degli Italiani non conosce.


martedì 20 ottobre 2009

URGENTISSIMO

Domani rientrerò a L'Aquila. Nella casa presa in affitto. Sarò di nuovo in prima linea.Per qualche giorno avrò difficoltà di connessione. Vi lascio un messaggio importantissimo. Fatelo girare più che potete. Aiutateci. Gli attendati hanno bisogno della solidarietà di tutti gli Italiani. Visto che dal Governo e dalle amministrazioni locali non arriva.

OTTOBRE 2009: ALL’AQUILA E’ EMERGENZA UMANITARIA

Facciamo appello a tutti coloro che in Italia hanno dimostrato sensibilità a quanto qui è successo e continua ad accadere.
A chi ha mantenuto alta l’attenzione sul dramma che ha colpito il nostro territorio e sulla gestione del post sisma.
Oggi, il 18 di ottobre, all’Aquila fa freddo. Siamo nella fase più drammatica, la notte già si sfiorano i -5°C ed andiamo incontro all’inverno, un inverno che sappiamo essere spietato.
Le soluzioni abitative, promesse per l’inizio dell’autunno, non ci sono. Circa 6000 persone sono ancora nelle tende.Meno di 2000 persone sono finora entrate negli alloggi del piano C.A.S.E o nei M.A.P.La maggior parte degli Aquilani sono sfollati altrove in attesa da mesi di rientrare.
Ora, con lo smantellamento delle tendopoli altre migliaia di persone sono state allontanate dalla città e mandate spesso in posti lontani e difficilmente raggiungibili.Noi, definiti “irriducibili”, siamo in realtà persone che (come tutti gli altri) lavorano in città, i nostri figli frequentano le scuole all’Aquila, molti non sono muniti di un mezzo di trasporto, altri possiedono terreni od animali a cui provvedere. Siamo persone che qui vogliono restare anche per partecipare alla ricostruzione della nostra città.Da oltre sei mesi viviamo in tenda, sopportando grandi sacrifici, ma con questo freddo rischiamo di non poter più sopravvivere.Se non accettiamo le destinazioni a cui siamo stati condannati (che sempre più spesso sono lontanissime) minacciano di toglierci acqua, luce, servizi.Oggi, più di ieri, abbiamo bisogno della vostra solidarietà.Gli enti locali e la Protezione Civile ci hanno abbandonati. Secondo le ultime notizie che ci giungono i moduli abitativi removibili che stiamo richiedendo a gran voce da maggio, forse (ma forse) arriveranno tra 45 giorni.Oggi invece abbiamo bisogno di roulotte, camper o container abitabili e stufe per poter assicurare una minima sopravvivenza. Visto che le nostre richieste alla Protezione Civile e al Comune non sono prese in minima considerazione chiediamo a tutti i cittadini italiani un ulteriore sforzo di solidarietà.E abbiamo anche bisogno di non sentirci soli.Per questo vi chiediamo di organizzare dei presidi nelle piazze delle città italiane per SABATO 24 OTTOBRE portando nel cuore delle vostre città delle tende per esprimere concretamente solidarietà a noi 6000 persone che viviamo ancora nelle tende ad oltre sei mesi dal sisma.Un altra emergenza è cominciata oggi. Non dettata da catastrofi naturali ma dalla stessa gestione del post sisma, da chi questa gestione l’ha portata avanti sulla testa e sulla pelle delle popolazioni colpite.
Alcuni abitanti delle tendopoli sotto zero.

Per donazioni e contatti:
emergenzaottobre2009@gmail.com
339.19 32 618 - 347. 03 43 505

per ulteriori informazioni aggiungo il mio numero
348. 30 55 965

domenica 18 ottobre 2009

Cifre

Gli irriducibili strumentalizzati dalla politica li chiama Guido Bertolaso. Sono i seimila sfollati in tenda che si rifiutano di lasciare i campi per essere trasferiti nelle camere d'albergo lontane decine di chilometri dalla terra che non hanno voluto abbandonare dal 6 aprile. Tali pericolosi sovversivi del sistema sono uomini e donne che lavorano in città, che mandano i figli a scuola , o che hanno il duro compito di attendere agli animali che costituiscono il faticoso sostentamento delle loro vite, o che hanno campi ed orti da coltivare. O, semplicemente, persone che non riescono ad allontanarsi dai loro luoghi ai quali sono tenacemente attaccati da quasi sette mesi. Oggi, per il Governo e le amministrazioni, sono numeri in esubero. E scomodissimi testimoni di un fallimento ampiamente annunciato. Per essere chiari e perché non si pensi che gli Aquilani abbiano un tetto sulla testa, vi riporto un po' di numeri, forniti gentilmente dalla Protezione Civile.
Gli appartamenti del progetto C.A.S.E. consegnati agli sfollati sono 900, a fronte dei 4.300 promessi dal Governo e dei 2.287 M.A.P.
5.800 sono i cittadini ancora nelle tende, 13.000 quelli nelle camere d'albergo, 9.000 coloro che hanno scelto la sistemazione autonoma e che, a tutt'oggi, hanno ricevuto 380 euro del contributo beffa, pari a 100 euro mensili a persona, poiché si è provveduto a pagare, con lentezza vergognosa, solo fino al mese di luglio.
Gli sfollati in hotel costano 650.000 euro al giorno, quelli in tenda, dove non abbandonati a se stessi, costano 300.000 euro. Quasi un milione di euro al giorno, ancora per molti mesi. In attesa che il faraonico progetto di case finte sia pronto. Case finte, signori miei. Soldi veri.
Le attività produttive hanno riaperto i battenti per il trenta per cento. E senza contributo alcuno da parte dello Stato. Il progetto era quello di mettere un tetto sulla testa di tutti gli sfollati entro il mese di settembre, in barba a ciò che le persone avrebbero fatto, senza lavoro e senza spazi sociali. Si può ben dire che la millantata tempestività non c'è stata. Si continua con il puro assistenzialismo che, azzerando l'iniziativa privata, demotiva e sfianca animi e volontà e consente di agire indisturbati a suon di proclami populisti, sceneggiate mediatiche ed appalti poco chiari. Un esempio su tutti: per la realizzazione di aiuole e verde sono stati spesi ben 14.420.782,06 euro. Ciò è stato dichiarato senza specifica alcuna. Non si sa quanti siano i metri quadrati interessati e se si siano piantati baobab o margheritine. Transitando nei pressi del capolavoro di efficienza non si scorge traccia di verde.
Concludo con la lettera che mi ha inviato una mia lettrice. Chi non ha paura della verità si firma. Con nome e cognome.

"Ciao Anna,
sono una volontaria di protezione civile del campo di S. Vittorino. Mi sono permessa di riportare le tue parole dal blog per commentare, oggi, un mio album di foto scattate a settembre. Non avevo mai voluto andare a vedere le macerie della vostra città martoriata, pur facendo su e giù da Roma per svariate volte dal 6 aprile, perché mi ero ripromessa di andarci per documentare la vita che riprendeva e questo mi aspettavo quando l'8 settembre mi sono finalmente convinta di andare a vedere con i miei occhi come dicevo speravo di fotografare (è una mia passione) negozi RIaperti (almeno qualcuno), di trovare attività in RIavviamento (almeno qualcuna), lavori sulle case in RIcostruzione... invece a parte alcuni puntellamenti NIENTE! Solo tanta desolazione nelle strade chiuse, qualche turista che fotografava e tanti tanti Aquilani che guardavano e raccontavano le loro storie e indicavano... vedi quella è casa mia. Da queste mie impressioni ho scelto il titolo "L'Aquila fantasma". Poi leggendo oggi le tue parole sul blog ho avuto una fitta al cuore e ho pensato a tutti quelli che si fanno buttare il fumo negli occhi dai TG unificati. Volevo lanciare un messaggio "L'Aquila è una città rimasta al 6 aprile!!!" Il mio album è pubblico quindi se ti serve puoi attingere a piene mani.
Grazie delle tue parole,con affetto (anche se non ti conosco)
Cinzia Antignani Altatiali "
http://www.facebook.com/inbox/?ref=mb#/album.php?aid=2026572&id=1101905511&ref=share

giovedì 15 ottobre 2009

Parla la sinistra

Finalmente un esponente locale della sinistra si sveglia e dice qualcosa in merito agli sfollati aquilani ed alla penosissima situazione nella quale versa il nostro territorio. Mi domando se mai volesse svegliarsi dal torpore soporifero nel quale si crogiola da tempo anche la sinistra nazionale.Su questa e su altre questioni. Ecco cosa scrive Maurizio Acerbo.

"Dopo più di 6 mesi dal sisma, nonostante il susseguirsi ininterrotto di inaugurazioni e cerimonie ad uso e consumo del premier, il dato di fatto incontrovertibile è che sono finora stati consegnati circa 1000 alloggi a fronte dei 4570 (comunque insufficenti) per i quali bisognerà attendere dicembre-gennaio.Circa 7000 persone sono ancora sotto le tende al gelo e 25.000 aquilani sono ancora sparsi in tutto il terrotorio regionale.La resistenza di cittadini spesso anziani a quella che viene vissuta come un’ingiusta deportazione dopo mesi trascorsi sotto le tende è segno di un orgoglio e di una fierezza nei confronti dei quali il dott. Bertolaso e il governo dovrebbero tenere un atteggiamento rispettoso.Altro che “irriducibili” antigovernativi, si tratta semplicemente di cittadini a cui era stato promesso un tetto entro settembre: il famoso slogan “dalle tende alle case”. L’inadeguatezza del PIANO C.A.S.E., ideato per massimizzare l’impatto mediatico dei presunti miracoli del Presidente del Consiglio, ora è evidente a qualsiasi persona in buona fede e informata.I costosissimi alloggi del Piano C.A.S.E.da mostrare in tv non sono, come avevamo ampiamente previsto, sufficienti neanche per i soli cittadini che abitavano negli edifici più danneggiati (E e F).Non è certo da imputarsi ai cittadini “irriducibili” la mancata partenza del ripristino delle case classificate A, B e C che avrebbe consentito il rientro di almeno il 70% della popolazione.La demagogica scelta di non procedere alla sistemazione in moduli abitativi provvisori (che costavano almeno un quarto delle C.A.S.E.) ha determinato la mancata sistemazione confortevole ed omogenea per migliaia di aquilani nonché lo spopolamento della città.L’allontanamento di migliaia di aquilani dalla città è uno dei prezzi pagati alla strategia d’immagine berlusconiana di cui Bertolaso è stato l’ insindacabile braccio operativo.Va inoltre sottolineato che ancora non sono state nemmeno poste le basi minime (presupposti finanziari e strumenti operativi e pianificatori) per la ricostruzione dei centri storici.La ridicola bozza di Ordinanza preparata dalla Protezione Civile sulla ricostruzione dei centri storici risulta lacunosa e astratta rispetto alle articolate e differenziate problematiche da affrontare e contiene prescrizioni e ridefinizioni assolutamente superflue rispetto agli strumenti urbanistici comunali già vigenti (la perimetrazione dei centri storici già c’è e in molti comuni vi sono anche piani di recupero già da tempo vigenti). Manca nel testo qualsiasi indicazione degli strumenti operativi indispensabili per concretizzare gli interventi (forse si vuole perdere tempo in attesa di trovare i soldi).Di fronte alla situazione di emergenza nelle tendopoli è dovere della Protezione Civile, del Comune e della Regione procedere a un intervento straordinario immediato che garantisca la permanenza nel capoluogo come rivendicano gli aquilani che con dignità in questi giorni stanno resistendo al freddo e al fango. Purtroppo le scelte sbagliate di questi mesi non consentono di ricorrere ai MAP (come noi di Rifondazione proponevamo a giugno) in quanto abbisognano di una sottofondazione di cemento armato che richiederebbe un tempo di “presa” di almeno 20/30 giorni.A questo punto l’unica ipotesi praticabile è quella di case su ruote da installare in parte nei campi e in altre aree già urbanizzate come quelle in adiacenza a quelle del PIANO C.A.S.E. e/o in quelle industriali per ridurre i tempi di allestimento (scavi e opere di urbanizzazione).Considerato che altrimenti migliaia di aquilani dovrebbero essere trasferiti in alberghi lontani dalla città quanto ovviamente onerosi ci sembra che sarebbe opportuno spendere il denaro pubblico per rispondere positivamente alla sacrosanta richiesta di non abbandonare la città."
Maurizio Acerbo
consigliere regionale Abruzzo Rifondazione Comunista

mercoledì 14 ottobre 2009

Senza vergogna

Il dottor Massimo Cialente, sindaco di L'Aquila, colui che si è distinto per le camicie inamidate e le impeccabili cravatte sin dal giorno successivo al terremoto, colui che si è distinto per non aver posto ostacolo alcuno allo strapotere esercitato dalla protezione civile sulla nostra terra e su noi cittadini sin dalla prim'ora, colui al quale riesce benissimo fare il pesce in barile, dicendo sempre sì a tutti e continuando negli anni a fare benissimo il nulla, si è prodotto in una lettera brilantissima, scritta congiuntamente al dottor Bertolaso. Ed, allineandosi al potente invasore, ha lanciato l'ultimatum agli Aquilani nelle tende: devono andare via e basta. Giù la testa ed eseguire. E fa nuove promesse, in perfetto stile caimanesco, non vergognandosi minimamente di aver disatteso tutte, assolutamente tutte, quelle fatte fino ad oggi.

"Care aquilane e cari aquilani, cari amici,
con questa lettera intendiamo spiegare con chiarezza le ragioni che rendono necessario e indifferibile il trasferimento delle famiglie finora accolte nelle tendopoli in alloggi provvisori di altro tipo, sia all’Aquila che nei Comuni dell’entroterra aquilano che lungo la costa della nostra regione.
Anche se il tempo è ancora favorevole, l’inverno sappiamo bene che si sta avvicinando. Conosciamo i modi con cui la stagione fredda si annuncia: senza preavviso, nell’arco di pochi giorni le temperature, oggi accettabili e addirittura piacevoli, scenderanno rapidamente, rendendo le tende assolutamente inospitali.
Siccome le persone che hanno abitato le tendopoli allestite dopo il 6 aprile sono migliaia, non possiamo permetterci che si crei, ai primi freddi, una nuova emergenza nell’emergenza, inevitabile se si volessero trasferire nello stesso giorno quanti sono ancora presenti nelle aree di accoglienza trasportandoli presso gli alberghi ed altri alloggi. E’ una delle nostre più grandi preoccupazioni in questi giorni, soprattutto pensando ai più piccoli e agli anziani.
Per questa ragione vogliamo informarvi che, a partire da oggi 10 ottobre, stiamo avviando un piano di trasferimenti dalle tende che si esaurirà nell’arco dei prossimi giorni. Vi chiediamo di rispettarne le indicazioni, ed in particolare le date di abbandono delle tendopoli, che vi saranno via via comunicate nei prossimi giorni.
Dobbiamo aggiungere un altro elemento importante. Conosciamo tutti la difficoltà di trovare, nell’immediato, un alloggio provvisorio che risponda ai desideri e alle aspettative di ogni famiglia. Se vi fosse la disponibilità di alloggi a L’Aquila o nei dintorni per tutti, la gravità della nostra situazione post terremoto sarebbe infinitamente meno complessa e difficile, ma sappiamo bene che purtroppo la nostra città è stata in parte distrutta e che gli sfollati nei comuni del cratere sono stati più di 70.000.
Il programma di realizzazione dei complessi C.A.S.E. sta procedendo in tempi rapidi, così come sono stati ad oggi molto brevi i tempi di realizzazione dei M.A.P. destinati ad accogliere le famiglie dei Comuni del cratere e delle frazioni più periferiche del capoluogo. Già oggi 1.114 cittadini aquilani sono sistemati in questi alloggi, confortevoli e sicuri. Entro il 31 dicembre 2009 tutti coloro che hanno una casa E, F o localizzata nelle zone rosse, riceveranno un’adeguata sistemazione alloggiativa provvisoria nelle strutture C.A.S.E o nei MAP in corso di realizzazione, secondo un calendario di consegne scadenzate all’incirca ogni due settimane.
Sono stati pubblicati gli elenchi delle famiglie alle quali sono stati assegnati alloggi in questi nuovi complessi, che conoscono fin da oggi con precisione il luogo dell’abitazione destinatagli e la data di consegna.
Sono noti e pubblici anche gli elenchi di quanti sono “in via di collocazione”: si tratta di quelle famiglie composte da uno o due persone che avranno una casa o un MAP entro il 31 dicembre, ma per le quali non siamo ancora in condizione di specificare il luogo e la data di ingresso nella nuova abitazione, perché ancora è in corso il lavoro di verifica della compatibilità tra le caratteristiche degli alloggi disponibili e le particolari esigenze del nucleo familiare.
Sono, infine, noti anche gli elenchi dei non assegnatari, ovvero di quanti ad oggi non hanno ancora dimostrato di possedere i requisiti necessari e per i quali è comunque prevista un’ulteriore verifica.
In ogni caso, tutti quelli che hanno la casa classificata E o F o situata in “zona rossa” avranno un alloggio. Sappiamo anche che, oltre ai gruppi sopra indicati, restano coloro che hanno un immobile classificato B o C, ai quali vogliamo ricordare che sono stati messi in campo tutti gli strumenti necessari a garantire la realizzazione degli interventi di riparazione, così da consentire in tempi relativamente brevi il rientro nelle proprie case. Il Comune e la Protezione Civile si riservano di attivare la ricerca di soluzioni provvisorie che consentano l’attesa della fine dei lavori di ripristino delle abitazioni, valutando caso per caso le situazioni in cui i lavori in questione siano rallentati o posticipati per evidenti e imprescindibili ragioni.
Quanti hanno vissuto nei mesi scorsi nelle tendopoli, pur avendo conosciuto la durezza e la fatica di tale soluzione di emergenza, hanno avuto anche modo di apprezzare la solidarietà, la condivisione, le iniziative collettive che hanno visto il rinascere di reti di vita sociale, il sorgere di nuove amicizie, la scoperta di nuove relazioni con i volontari e le persone che hanno assicurato agli ospiti dei campi le condizioni più favorevoli per superare questo difficile periodo.
Sappiamo bene che lasciare gli ambienti e le relazioni che nelle tendopoli si sono instaurate può rappresentare per molti un nuovo trauma, soprattutto se si lascia la tenda per un’altra soluzione abitativa del tutto temporanea e non definitiva. Sappiamo inoltre che tanti, forse tutti quelli che sono stati nelle tendopoli in questi sei mesi, avevano motivi gravi come il lavoro, questioni familiari, altre vere esigenze per non potersi allontanare dalla città.
Siamo consapevoli di questo nuovo sforzo e sacrificio che richiediamo a persone già provate dal lungo periodo che ha seguito la fase dell’emergenza dopo il sisma, ma consideriamo questo passaggio, difficile e per molti sgradevole, indispensabile per non correre rischi gravi per la salute e il benessere di tutti nei prossimi mesi.
Abbiamo deciso, insieme, alcuni criteri da rispettare anche in questa fase. Il criterio di attribuzione di tali alloggi nelle diverse località tiene evidentemente conto dei diversi tempi di permanenza previsti e delle differenti prospettive di ciascun nucleo familiare.
Quanti sono già presenti negli elenchi degli assegnatari di alloggi C.A.S.E. o M.A.P., che devono aspettare un periodo di tempo limitato al massimo ai prossimi 60/70 giorni prima di entrare nelle nuove abitazioni, saranno accolti per questo periodo negli alberghi della costa o, nei limiti del possibile e delle disponibilità, in altri Comuni dell’interno della regione, per riservare le soluzioni alloggiative più vicine al capoluogo a quanti non hanno ancora la certezza di una nuova abitazione e sono destinati ad un periodo di attesa più lungo per una sistemazione confortevole e sicura.
Chiediamo ancora una volta una scelta di solidarietà fra gli aquilani, la stessa che ci ha contraddistinti fin dalle prime ore di quell’alba maledetta del 6 aprile. Per tutti saranno comunque predisposte misure di assistenza, facilitazioni per i trasporti e un servizio di accompagnamento che aiuti le famiglie ad affrontare eventuali situazioni di particolare difficoltà, quali la presenza nel nucleo familiare di minori o disabili o di persone che necessitano di particolari trattamenti sanitari.
Affronteremo anche i problemi legati all’orario di lavoro.
Ricordiamo infine che, per quanti lo ritengono, è sempre disponibile, in ogni momento, l’opzione da tempo prevista di scegliere la forma di sostegno individuata nel contributo di autonoma sistemazione, di importo oggi incrementato, che viene attribuito in tempi più rapidi e con modalità più semplici anche laddove si disponga di altra abitazione agibile sul territorio abruzzese.
Riteniamo, con questa lettera, di aver spiegato le ragioni che rendono necessaria la chiusura delle tendopoli in tempi rapidi e le modalità che verranno seguite per i trasferimenti verso altre soluzioni alloggiative. Confidiamo nella disponibilità dei cittadini aquilani a partecipare attivamente anche a questa ulteriore fase del superamento dell’emergenza, accettando quanto predisposto dal Comune e dalla Protezione Civile per consentire a tutti di affrontare l’inverno in condizioni non proibitive, pur nella precarietà e provvisorietà delle soluzioni di accoglienza individuate.
Questa lettera vi verrà recapitata, campo per campo, nei prossimi giorni. Dal momento nel quale vi verrà consegnato il modulo con la destinazione assegnatavi, riteniamo che possa essere sufficiente per tutti un periodo di pochi giorni per attuare il trasferimento.
Contiamo sulla vostra collaborazione e soprattutto nella vostra comprensione, in questo ultimo grande sforzo comune che ci porterà insieme a festeggiare il Natale in un clima più sereno, tutti a L’Aquila, uniti per avviare il processo della ricostruzione della città.
Guido Bertolaso Massimo Cialente"

Questa la replica dei cittadini responsabili:

"Con la lettera spedita in questi giorni da Cialente e Bertolaso alle persone che dopo più di 6 mesi vivono ancora nelle tende sembra chiudersi un cerchio.
Col freddo la scelta ideologica di evitare per la prima volta nella storia dei post-terremoti qualsiasi forma di modulo removibile messa in atto da Protezione Civile e dall’Amministrazione Comunale, sta producendo il suo principale effetto: cacciare gli aquilani dalla propria città.
“Saltare la fase intermedia passando direttamente dalle tende a case vere” era stato dichiarato ad Aprile da Governo, Protezione Civile e Comune dell’Aquila. Scelta che più volte abbiamo avuto modo di denunciare come erronea e drammatica.
A più di sei mesi dal sisma i tempi di assegnazione delle c.a.s.e. non sono affatto quelli promessi ad Aprile quando ci è stato chiesto di pazientare 5 mesi nelle tende o negli alberghi della costa per avere un tetto vero a Settembre.
Di fronte a tale annuncio così allettante, dopo aver subito uno shock così grande, la popolazione aquilana si è fidata. E’ rimasta composta e disposta a fare sacrifici (come sa fare) in attesa che le promesse fatte fossero mantenute. Lo ha fatto anche se questo ha significato vivere disagi notevoli come la perdita della propria autonomia e della propria libertà.
Con la lettera di Bertolaso e Cialente di domenica scorsa abbiamo capito una volta per tutte di essere stati presi in giro.Se c’era un limite a tutto questo era quello, palesemente dichiarato, di poter decidere dove vivere e di non essere costretti ad andare dove non vogliamo andare.Essere messi nella condizione di dover, dopo sei mesi, abbandonare quella città che non vogliamo abbandonare significa essere deportati e quindi il totale fallimento della gestione del post-terremoto di Cialente e Bertolaso. E non si parli di scelta personale. Concedere un’autonoma sistemazione di 200 euro significa non dare alternative possibili a famiglie ed anziani, obbligandoli ad andar via.
Chiedevamo partecipazione e ci sembrava normale dopo un evento così grande e distruttivo. Qualcuno invece ha detto che era capace di fare tutto per noi, che sarebbe stato meglio così. Qualcuno che ha preso tutte le decisioni perché diceva di esser capace di farlo. La richiesta disperata di partecipazione non è stata nemmeno lontanamente presa in considerazione. Anzi la nostra città è stata militarizzata e i divieti per fare quello che fino al 6 Aprile facevamo da soli a casa nostra, si sono moltiplicati. E’ diminuita persino la libertà di espressione dato che grossi limiti sono stati applicati a volantinaggi e assemblee nei campi cioè i luoghi dove la popolazione aquilana era maggiormente concentrata. Ci chiediamo il perché, se il risultato ora è chiedere agli aquilani di accettare di buon grado un trasferimento per un tempo indefinito lontano dalla propria città.
Andar via significa ottenere una maggiore dispersione e mette molti aquilani nella condizione di impossibilità a partecipare e contribuire attivamente al processo di ricostruzione, attraverso il proprio lavoro, le proprie idee, le proprie critiche.Ma l’unico obiettivo di Cialente e Bertolaso sembra solo quello di costruire il c.a.s.e.Di quello che sarà dell’Aquila e di quello che è stata prima del 6 Aprile, e quindi di quello che saremo noi e siamo stati noi, non sembra importare.
Il nostro sindaco, dopo aver ripetuto per mesi la proposta delle case mobili ha abbandonato tale richiesta, una delle poche che si sono contrapposte al volere della Protezione Civile e che avrebbe permesso a un maggior numero di persone di restare sul territorio. Cosa gli è stata promesso in cambio vorremo saperlo.
Ci chiediamo perché non si è scelta la strada del confronto e del dialogo per fare in modo che decisioni che incideranno per sempre sul futuro della nostra città fossero prese in maniera realmente democratica. In molti campi i cittadini si sono organizzati consegnando, in forma di lettera, raccolte di firme per chiedere di non essere trasferiti fuori dal territorio. Richieste rimaste inascoltate. Chissà se prima di scrivere la loro di lettera Cialente e Bertolaso si sono almeno degnati di leggere ciò che gli veniva chiesto.
Nessuna lettera invece era stata inviata prima dello smembramento del campo di Piazza d’Armi, a persone che dopo mesi e mesi di tenda sono state deportate in barba a qualsiasi graduatoria di assegnazione, mentre chi si è rifiutato di andare via ancora oggi vive lì, nell’assordante indifferenza delle istituzioni.
E’ indispensabile rimanere vicino la città e partecipare alla ricostruzione reale. Molti nostri concittadini hanno già messo in pratica forme spontanee di disobbedienza civile, tornando nelle proprie case valutate B, C e E, segno drammatico della fallimentare gestione del dopo-terremoto.Alla faccia di chi ha detto che nonostante tutto gli aquilani hanno ancora fiducia nelle istituzioni.A sei mesi dal sisma, insomma, ci appare chiaro che ora quanto mai è indispensabile il mutuo soccorso tra le persone. Quanto fatto dai nostri rappresentanti finora non fa che alimentare il senso di disillusione e di impotenza dei cittadini, E’ invece fondamentale che questi assumano il ruolo di protagonisti nel processo di ricostruzione, grazie allo spirito di iniziativa, la forza e la laboriosità che non sono mai mancati agli Aquilani."

venerdì 9 ottobre 2009

Intervallo

Uso la penna per questo post. Domattina lo trascriverò sul blog. Un post a penna deve essere per forza un post che esce dal cuore. Ho una casa, stavolta per davvero. Una casa dopo sei mesi sotto il cielo, e il sole, e la pioggia. E le stelle. Il cielo e le stelle son belli, ma un tetto è sicurezza. E vita. E programmi. Seppur minimi. La casa è umile, ma dignitosa. Costa molto più di quanto vale. Ma oggi una casa a L'Aquila vale oro. Non c'è il gas, forse arriverà fra dieci giorni. E alla notte è troppo freddo per dormire in un container da cantiere. Allora ho preso tutto il coraggio che mi è rimasto e son partita. Ci vuole coraggio per partire. Quando si lascia indietro il nulla. Coraggio, se sai che a quel nulla tornerai. Il nulla nel quale vuoi provare a costruire di nuovo qualcosa. E' una scelta. Non ponderata, quasi inevitabile. Non potrei fare altrimenti. Sento e so di voler continuare il mio cammino con quelle anime gemelle che non vogliono abbandonare la nostra terra in mano ai barbari invasori. Ed ai nuovi barbari colonizzati da TV ed imbonitori. Un sogno quello di pensare di poter incidere sulle future scelte? E che sogno sia. Ho raggiunto, con mille paure, un luogo della mia anima. Un luogo che mi appartiene non meno della mia città. E qui, ora, ho ritrovato la mia identità. E un minimo di serenità. Fuori dal terremoto, Anna è la stessa. Anche se con la vita spezzata. Anche se mesta e malinconica. E allora, davanti al mare, su questo terrazzo, assumo in pieno l'impegno preso con me stessa. Provo a ricostruire. Ma a ricostruire il vero. Non scenografie di film di quart'ordine. Le cose vere si ricostruiscono partendo dalle persone. E dalle identità. E dalle vite di ognuno. Accetto la sfida che la sorte mi ha riservato. Il mare è calmo sotto il cielo umido. Mi addormento pensando che posso ancora provare ad essere felice. L'affetto di amici attenti e discreti, il canto di una sorgente conosciuta. E la risacca, sotto la finestra. Che mi culla. E l'idea che, nonostante tutto, in questa Nazione che stento a riconoscere, la giustizia è ancora uguale per tutti.
A presto.

martedì 6 ottobre 2009

Bertolaso scrive ai terremotati


Nel post di sabato vi ho raccontato del mio incontro con il funzionario di protezione civile. E delle sue parole.Oggi è arrivato il messaggio del suo capo Bertolaso agli Aquilani, in occasione della ricorrenza dei sei mesi dal 6 aprile.

"Oggi è il sei ottobre 2009. Sei mesi dal sei aprile. Sei mesi, che sono un soffio e un’eternità insieme.Un soffio, per chi prepara progetti e li mette in atto, scontrandosi con la realtà dei “tempi tecnici” necessari per fare qualsiasi cosa. Un’eternità, per chi aspetta una normalità che sembra non arrivare mai, costretto a una vita da rifugiato anche se ha scelto di vivere a pochi metri da casa, obbligato a far passare il tempo senza avere il comando dei propri giorni per decidere come viverli.Come capita sempre nella vita, a distruggere basta un attimo, per costruire serve tempo. Una città, un territorio sono come una famiglia, un’impresa, una qualsiasi altra realizzazione sociale dell’uomo. Quando l’amore non è coltivato ogni giorno, quando si lavora oggi senza pensare a domani, quando si sta insieme per motivazioni che un giorno erano chiare, ma sulle quali non si è avuto la prudenza di lavorare, qualsiasi crisi può sfasciare tutto quello che abbiamo costruito, su cui abbiamo scommesso, che abbiamo considerato un bene acquisito una volta per sempre. Le famiglie si dividono, le imprese falliscono. Comincia, inevitabile, una stagione di ripensamenti, spesso di accuse agli altri perché non ci hanno capito, non hanno riconosciuto le nostre ragioni, hanno mandato a rotoli i nostri progetti.Chi resta da solo e senza risorse, chi si ritrova dall’oggi al domani senza lavoro, chi si accorge che il racconto delle proprie esperienze di dramma, col loro strascico di paure e incubi notturni, ottiene un’attenzione sempre minore, distratta, svogliata: sono queste le sole persone che possono capire cosa sono sei mesi nella vita di chi se l’è vista distrutta.Il terremoto, la distruzione: nulla è più come prima, niente lo sarà mai più. Il terremoto parte dalla terra e arriva dentro ciascuno, dentro le famiglie, le comunità, le città, si installa come un ospite non voluto che è impossibile allontanare.Una presenza che cambia peso e intensità col passare dei giorni. I primi sono quelli del lutto, dei soccorsi, dei senzatetto da mettere al riparo. Poi ci sono quelli della solidarietà, tra chi è venuto ad aiutare e chi ha trovato rifugio, dell’accoglienza, della voglia di far festa per ogni piccolo segno di vita buona, come una scuola che riapre o la nascita di un bimbo che diventa simbolo di speranza per tutti. Poi ci sono i giorni duri del tempo che rallenta, delle televisioni che non hanno più inviati, della routine dei campi che si vive con il fastidio crescente di essere come separati, da quei teli blu, dal resto del mondo e dal proprio futuro. Adesso è il periodo del tempo che non passa, perché ogni entusiasmo si è raffreddato, e ogni attesa provoca dolore, perché, costretti dalle cose ad essere realisti, a guardare in faccia la realtà per com’è, arriviamo a non sopportarla più.Anche i fatti positivi che pure accadono intorno a noi sono condivisi con riserva, se riguardano altri e non il proprio futuro. Sono centinaia, dopo sei mesi, le famiglie che abitano case nuove e confortevoli. Sono migliaia i ragazzi che hanno ripreso la scuola spesso in strutture realizzate a tempo di record. Sono sempre meno coloro che ancora non hanno trovato una sistemazione buona almeno per l’inverno. In sei mesi l’Italia intera ha partecipato a realizzare, all’Aquila, strutture che in occasione di altri terremoti non si sono mai viste o hanno richiesto anni per essere completate. La Protezione Civile e tutte le sue componenti e strutture operative, decine e decine di imprese al lavoro, hanno trasformato L’Aquila e i Comuni del cratere in un cantiere aperto giorno e notte per dare casa e servizi a un’intera città disastrata.I primi risultati si vedono, sono concreti, sono reali, ma la realtà, che pure registra record assoluti di tempestività ed efficienza, sembra sempre in ritardo rispetto al tempo della nostra impazienza, della stanchezza che arriva alle ossa perché abbiamo bisogno di un’aria diversa per respirare, senza misurarci ogni istante col tempo che, a seconda dei casi e dei ruoli, si traveste da soffio o diventa eterno sulla nostra pelle.Scrivo queste cose, a sei mesi dalla catastrofe, perché non mi sento ma sono aquilano, non mi sento ma sono terremotato, perché vivo da quel giorno gli stati d’animo, le ansie e anche le speranze di chi vive qui, nelle condizioni che il sisma del 6 aprile ha disegnato. Chi lavora con me da sei mesi, impegnato ogni giorno per rimediare ai guasti del terremoto, vive questa contraddizione di sentire che il tempo, i giorni, sono sempre troppo pochi e troppo lunghi, troppo pochi per arrivare a tutto, troppo lunghi perché non si vede bene la fine del tunnel della precarietà nel quale nessuno, lo abbiamo giurato a noi stessi, deve restare intrappolato.Non siamo terremotati perché il sisma ci ha colpito ma perché abbiamo scelto di esserlo con gli aquilani, siamo venuti da fuori e siamo rimasti, con l’idea forse banale e semplicistica che stava a noi per primi non andarcene, restare e lavorare senza risparmio di energie per dire coi fatti ai cittadini dell’Aquila che non erano soli, che lo Stato c’era e c’è, che il terremoto non ha lasciato nessuno senza percorsi possibili verso un futuro vivibile.Sono andato via dall’Aquila solo quando la tragedia, il disastro, hanno colpito altre parti d’Italia, a Viareggio, a Messina in queste ultime ore. Viaggi da una catastrofe ad altre, da un dolore che conosco ad altre sofferenze e altre amarezze. Per questo non ho bisogno di leggere i giornali, di ascoltare dichiarazioni, di scorrere reportage, di prender parte al gioco inutile delle polemiche per sapere che il nostro compito in Abruzzo non è ancora finito, che dobbiamo mettere in conto ancora giorni e giorni passati lavorando senza badare alla fatica, spendendoci per limare un po’di tempo all’eternità di chi aspetta e far stare più cose nel soffio di ogni giorno a nostra disposizione.Chiedo al tempo, in questo giorno, di non impedirci di vedere ciò che abbiamo fatto e di gioirne, insieme a quanti per primi sono arrivati a godere dei risultati dell’enorme sforzo che ogni giorno si compie in queste terre.Chiedo al tempo che ci conceda una sua piega, per ricordare quanta strada abbiamo fatto in sei mesi, dai primi soccorsi alle esequie delle vittime, dalla visita del Papa alle decisioni del Governo per far fronte all’emergenza, dal G8 ai piani per le nuove costruzioni, dalle prime case finite a quelle che stanno sorgendo, dai giorni della mobilitazione solidale degli italiani fino all’oggi, che vede ancora migliaia di persone al lavoro, che hanno stabilito con l’Abruzzo e la sua gente un rapporto destinato a durare.Chiedo al tempo, infine, di lasciarci vedere il termine dell’attesa. Abbiamo tutti fame di pace, di cose finite, di impegni assolti. Abbiamo tutti fame di un buon futuro possibile e concreto, da usare con un po’ di libertà. Lo so e lo sento, condivido, resto qui a condividere con quanti ancora devono pazientare.Il giorno in cui daremo una casa all’ultima famiglia che l’aspetta, potremo di nuovo imparare a vivere il tempo nella sua semplicità, considerandolo nostro amico. Resto qui con voi, perché so che quel giorno è vicino e credo in coscienza di aver conquistato il diritto e l’onore di viverlo insieme a voi.
Guido Bertolaso"

La lettera altro non è, a mio avviso, che una summa di quanto vi ho riportato sino ad oggi circa il comportamento dei nostri protettori. Cosa ci dice il plenipotenziario? I tempi annunciati non verranno rispettati, si allungano a tempo indeterminato. Esistono dei cittadini che non condividono il nostro operato, ma noi benefattori , al contrario, siamo venuti qui ad immolarci instancabilmente per voi che avete avuto molto più degli altri che hanno vissuto drammi simili al vostro. Coloro che dissentono sono persone che polemizzano sterilmente, pretendendo di mettere in discussione il nostro operato che, comunque ,non si ferma e va avanti inesorabilmente. Dopo i primi tempi in cui vi abbiamo raccontato che tutto procedeva per il meglio, dove lo stare rinchiusi nelle tendopoli vi faceva sembrare isolati, non già dai nostri emissari che vi impedivano il contatto con i vostri concittadini,ma dal mero effetto ottico delle tende blu, ora occorre essere realisti e guardare in faccia quello che vi aspetta. Questa è la stagione dei ripensamenti, ma non cadete nell'errore di accusare chi ritenete non abbia capito le vostre ragioni ed abbia mandato a rotoli i vostri progetti. Non commettete lo sbaglio di non condividere senza riserva alcuna le scelte di chi ha operato, a suo insindacabile giudizio, per il vostro bene. Pensate a quelle millecinquecento persone che hanno ricevuto la casa, non pensate alle rimanenti quarantamila che non ce l'hanno. Pensate che son state riaperte le scuole, non pensate al fatto che i vostri figli devono fare duecento chilometri al giorno per raggiungerle. Insomma,affidatevi a noi. Noi decidiamo quando dovete essere allegri. E quando tristi. Prima si ballava e cantava, clown e miss tendopoli. Ora è il momento di capire che c'è poco da stare allegri. Per concludere in bellezza, si autoelegge plenipotenziario aquilano e terremotato, a pieno diritto. Come il suo capo. La chicca finale, poi, è quell'anelare ad un futuro migliore dove poter avere un po' di libertà. Solo un po', ché tutta fa male: si corre il rischio che le persone inizino a pensare
La foto riporta il disegno di un'alunna della scuola elementare Edmondo De Amicis. Mi sembra il modo migliore per ricordare i nostri morti, a sei mesi dalla tragedia.

sabato 3 ottobre 2009

Di affabilità e di scortesia

Ieri mattina ho incontrato un funzionario della protezione civile, presso la Di.COMA.C., la direzione di comando e controllo, alla scuola della Guardia di Finanza. Dopo lunga fila, ho potuto colloquiare con un giovane campano. Gentilissimo, affabile, sorridente, accondiscendente. Voce pacata, quasi ipnotizzante, mi ha spiegato che siamo un popolo fortunato, poiché abbiamo ricevuto tantissimi soldi ed abbiamo avuto a disposizione centinaia e centinaia di persone, dotate di spirito di abnegazione, che si sono immolate per la nostra causa. Mi ha spiegato che chi è contro di noi sono le amministrazioni locali ed i nostri stessi concittadini, che non si adoperano a che le cose proseguano per la giusta strada. Quella scelta dal governo. Mi ha fatto riflettere su quanto sia stata sbagliata la scelta, da me intrapresa, di provvedere a me stessa, scavalcandoli. Ora avrei un tetto sulla testa, un confortevole hotel, letto e vitto assicurati, e dovrei solo aspettare che loro finiscano di sistemare le cose per me e per noi tutti. Mi ha detto che la cosa più importante è avere fiducia in chi opera per il nostro bene. Sempre gentilissimo, mi ha dato dei moduli da riempire, asserendo che, su questioni spinose come il lavoro e il danaro dell'autonoma sistemazione che non arriva, risponde unicamante il Comune di L'Aquila. La protezione civile pensa all'unica cosa importante: le c.a.s.e. per gli Aquilani. "Vedrà signora", mi ha salutata stringendomi affettuosamente entrambe le mani," tutto andrà a posto. Abbia pazienza e ci accordi fiducia." Uscita, mi sono diretta verso l'ufficio del Comune, assistenza ai cittadini, due stand più in là. Ho incontrato, sedute dietro la stessa scrivania, due giovani impiegate, molto arroganti e mal disposte, anche volgari,che mi hanno detto che nulla possono fare per me, mi devo rivolgere alla Protezione Civile. Son tornata dal funzionario facendogli notare che le impiegate, abbastanza alterate, mi avevano rimandato da lui. Il giovane mi ha guardata, con lo stesso sorriso pieno di partecipazione e comprensione, e mi ha detto, "vede, signora, avevo ragione. Come si può essere scortesi con chi ha subito un dramma come il vostro? Queste persone sono i vostri avversari". Nulla ho detto, sarebbe stato come scontrarsi con un muro di gomma. E sarebbe stato inutile sprecare le mie energie residue. Il mio pensiero, però, è andato ai tantissimi Aquilani che hanno avuto modo, dal 6 aprile ad oggi, di colloquiare con i funzionari di protezione civile. E con quelli del Comune.Ed ho capito come molte cose possano essere accadute fino a portarci allo stato attuale, dove chi è stato oppresso arriva ad osannare l'oppressore. Ed a plaudirne l'operato scellerato e le scelte non condivise.
Raggiungendo l'automobile nel parcheggio, ho trovato sul vetro un volantino " FINAbruzzo service. Finanziamenti personalizzati ed imbattibili fino a 50.000 euro. Subito."
Questa è l'unica soluzione concreta che mi è stata posta fino ad ora. Giustapposta al momento giusto, nel luogo giusto. Dai soliti sciacalli.

venerdì 2 ottobre 2009

Le C.A.S.E., i M.A.P. e i cittadini



Il video racconto di un Aquilano,Luca Cococcetta. La realtà di questi giorni.

giovedì 1 ottobre 2009

Un futuro da ricostruire

Oggi parla, attraverso questo blog, un altro Aquilano, Stefano Torelli, giornalista indipendente.

“L’Abruzzo si risveglia incredulo”… “c’è un Presidente sempre presente”… In rete gira ultimamente un video realizzato dal Comitato “Silvio per il Nobel” e recita queste parole. Il Nobel in questione è quello per la Pace e Silvio è il Presidente del Consiglio italiano Berlusconi. La motivazione è esplicitata dal testo della canzone e dalle immagini di sottofondo: Berlusconi che passeggia per le rovine dell’Aquila con Barack Obama e Angela Merkel; Berlusconi che stringe le mani dei Vigili del Fuoco e degli uomini della Protezione Civile all’Aquila; Berlusconi che consegna le prime case di legno agli abitanti del paese di Onna. Ed in effetti un certo Abruzzo si è davvero risvegliato incredulo di fronte al video di cui stiamo parlando. Così come non si può negare che il Presidente sia sempre presente, come dimostrato anche ieri durante una nuova visita alla città dell’Aquila, in cui il capo del governo ha consegnato i primi 400 appartamenti del piano C.A.S.E. ad altrettante famiglie.
Invito ancora una volta a riflettere su cosa si sta consumando all’Aquila e su quali siano i toni che vengono usati e le immagini a cui si ricorre. L’idea, certo bizzarra e sicuramente non partita direttamente dal Presidente del Consiglio, di un Premio Nobel per la Pace per i “meriti” avuti nella ricostruzione post-terremoto, lascia quantomeno interdetti. Come se all’Aquila si fosse consumata una sanguinosa guerra e qualcuno fosse venuto a riportare la pace e la tranquillità. Come se la passerella degli otto“grandi” della Terra tenutasi a luglio nel capoluogo abruzzese fosse stata l’occasione della firma di un armistizio. L’Aquila come Sarajevo. L’Aquila come Versailles nel 1919. L’Aquila simbolo di pace e futuro roseo. La realtà dei fatti continuamente travisata, anzi di più, volutamente distorta per produrre, a lungo andare, un’immagine di una città ormai adottata dal Presidente del Consiglio. Un Presidente del Consiglio che, pian piano, ricuce tutte le ferite e riporta la situaizone alla normalità. A tal punto da convincere anche alcuni aquilani del fatto che “tutto va bene” o, perlomeno, che “di più non si poteva fare”. Ed ecco che in un tale clima ogni critica, ogni smorfia di disappunto, qualsiasi segno di opposizione ad una politica di disgregazione del territorio ed estremamente accentratrice diventa quasi una bestemmia. Di fronte alla pace non si può fare critica alcuna.
La storia del video che propone il Nobel per il Presidente del Consiglio e le considerazioni appena fatte sono emblematiche di quanto sta accadendo nella L’Aquila del post 6 aprile. E di nuovo dobbiamo interrogarci non tanto sulle scelte singole di questo o quel governo, ma sul modo di fare politica che si sta imponendo in questo Paese. Un’Italia ormai divisa in due, in cui non pare esservi spazio per nulla di condiviso, che si tratti di una ricorrenza nazionale, della carta istitutiva dello Stato stesso, fino alla questione di Cassano in nazionale. Tutto è “politica”. Tutto ha un colore. Tutto sta o a destra o a sinistra e non c’è tempo da perdere in dichiarazioni, azioni o semplicemente pensieri che siano trasversali. Pena l’accusa di tradimento (proveniente da una parte o dall’altra, a seconda di chi si allinea con chi).
Ieri, mentre si celebrava la consegna degli appartamenti (che, è bene sottolinearlo, non saranno subito abitati da tutti i destinatari, ma ci vorrà ancora del tempo perché ciò avvenga), un’altra parte della città dell’Aquila manifestava contro alcune scelte prese sul proprio territorio. La manifestazione si concludeva, significativamente, nell’ormai famosa (ex) tendopoli di Piazza d’Armi, quella smantellata dalla Protezione Civile il 4 settembre, ma dove in realtà ancora vivono una trentina di sfollati. La manifestazione terminava lì perché quello è il simbolo della verità non raccontata. Cumuli di spazzatura, servizi non più garantiti (cibo, acqua calda, pulizia dei servizi igienici…) e trenta persone abbandonate. Abbandonate dalla Protezione Civile che, dopo aver smantellato il campo, dichiara di non averne più la responsabilità; abbandonate dagli enti locali (in una città governata dal Pd, sia ben chiaro) che ancora non si sono fatti vedere. Abbandonate dallo Stato, i cui rappresentanti preferiscono andare a consegnare le case già costruite a famiglie contente di poter riavere un tetto, piuttosto che andare a vedere la miseria ed il degrado che ancora sono presenti in alcune parti della città. In questo clima, raccontare queste cose, che pur esistono e chi scrive ha visto con i propri occhi, può diventare un pericoloso atto sovversivo. I media domani parleranno della case consegnate e degli applausi ricevuti dal Presidente del Consiglio. Noi preferiamo parlare di altre realtà e ragionare su quali dinamiche siano in corso.
Benvenuti all’Aquila. Dove un terremoto è stato assurto ad una guerra. Per permettere a chi “ricostruisce” di vantarsi di aver portato la pace. Per permettere di far sì che solo alcuni giornalisti, quelli “embedded”, possano raccontare l’unica verità che deve essere raccontata. Per permettere di poter additare i cittadini che criticano alcune scelte compiute sulla loro pelle come “disfattisti” e “anti-italiani”. L’abbiamo già detto e lo ribadiamo: c’è un Paese intero ed un futuro da ricostruire, non soltanto una città.
Stefano Torelli