mercoledì 26 gennaio 2011

Si ricomincia

Mi pesa scrivere questo post. Mi pesa tanto. L'ho iniziato da tempo, e sempre archiviato fra quelli da pubblicare. Ma, ogni volta che entro in questo spazio, lo ritrovo. Iniziato e mai finito. Lo ritrovo a dirmi che c'è qualcosa di non detto. Di non raccontato. Eppure ho sempre raccontato tutto quello che sentivo essere importante rispetto alla condizione di noi Aquilani. Non lo finivo, in attesa di una conclusione che fortemente aspettavo positiva. Ma ora è tempo di dire. E' un post che parla di un fallimento. Ma voglio che sia un post che parli anche di rinascita. Un'ennesima rinascita.
Vi ho sempre detto dell'Aquila paradigma dell'Italia, ebbene, anche la conclusione alla quale sta giungendo questo scritto lo è.
"Perché anche un blog può aiutare a rinascere, dalle macerie", questo scrivevo, ormai ventuno mesi fa. E pensavo alle macerie fisiche. Ed a quelle morali. Ma quel movimento di ribellione, e di rinascita, che vado raccontando dal 6 aprile 2009, prima sola, poi con qualche compagno di strada, poi con tanti, è fallito. Fallito non perché morto, ma perché ha mancato il suo obiettivo. Quale? L'unico: quello di cittadini senza città che, insieme, risalgono la china. E ricostruiscono, se non le proprie case e la loro città, ché viene loro impedito, il tessuto sociale ed i rapporti umani. Il compito era quello di risvegliare le coscienze e, quindi, di unirsi. Anche solo per sperare e per farsi forza. Di trovare una strada tutti insieme, ché le macerie ed il dolore non hanno colore. Il collante c'è, il fattore comune, indispensabile in questi casi: c'è la tragedia. Ora non vi dico nulla di nuovo nell'affermare che quelli che io chiamo cittadini responsabili, o attivi, quelli, cioè, che non sono rimasti inermi e muti ad aspettare che le cose accadessero, siano per la stragrande maggioranza di "sinistra". E' innegabile che il popolo della sinistra sia più pronto a scendere in piazza, abbia più senso civico, sia più disposto a mettersi in gioco, a mostrare il dissenso. A darsi da fare per la collettività. Ma cosa avrebbe dovuto fare questo popolo? Certo non trasformare la nostra tragedia in una partita di pallone, con le opposte tifoserie. Certo non avrebbe dovuto connotarsi così fortemente, ottusamente direi, come l'unico depositario del giusto e del vero. Avrebbe dovuto aprirsi ai cittadini. Mi piace dire che avrebbe dovuto abbracciarli. Tutti. Invece, pur portando avanti tesi e percorsi utili e condivisibili, ha vestito, di volta in volta, i panni del rivoluzionario, del contestatore, del propositivo, persino dell'istituzione, mai sapendo parlare alla città. Mai smussando gli spigoli, mai aprendosi all'ascolto. Arroccato sulle proprie idee, connotato ed identificabile al massimo, lontano dai bisogni reali dei cittadini. Sempre più isolato, diviso, inutile. E cos'è, questo, se non il paradigma della sinistra italiana? Realtà senza speranza. Realtà che toglie la speranza. E allora anche qui si arriva al paradosso di lottare contro tutti, persino contro chi fa la tua stessa strada. E parla la tua stessa lingua. Si arriva al paradosso di ostacolare, anziché favorire, la partecipazione. Ché la partecipazione non può che essere spontanea, mai imbrigliata, burocratizzata, soggetta a gerarchia. Qualcuno lo ha chiamato "direttorio" quel gruppo di persone che si è autoeletto a dirigere, ma, cosa ancor più grave, ad indirizzare l'Assemblea Cittadina. L'Assemblea Cittadina, quell'esperienza da pionieri della democrazia che iniziammo a vivere nella primavera dello scorso anno. Luogo fisico, che si contrapponeva al non luogo che viviamo, e di incontro di menti. E anime. E volontà. Luogo che avrebbe dovuto accogliere e che invece ha respinto la cittadinanza, allontanando a colpi bassi chi, avvicinatosi con entusiasmo, dissentiva però dal metodo autoritario che, di fatto, ha sempre impedito il confronto aperto e leale. Il fallimento sta nel non aver trovato unità fra chi desiderava partecipare e nell'aver reso invisi al resto della popolazione, quella che è la stragrande maggioranza, coloro che, partecipando, venivano e vengono etichettati quali appartenenti ad una diversa fazione. La parola fine è stata poi imposta dall'amministrazione che ha rimosso quel tendone nel quale si tentava il percorso della democrazia dal basso. La strada di fronte a noi è ancora lunga, me lo vado ripetendo da tempo, e questa è solo una battaglia persa. Ma il movimento, questo movimento, ha fallito. Questa sinistra continua a fallire. Non abbiamo bisogno di finti eroi, e neanche di veri. Abbiamo bisogno di persone leali. Abbiamo bisogno di cittadini, e i cittadini sono di qualsiasi colore. Tutto con i loro errori, tutti con le loro paure. Abbiamo bisogno di persone che abbiano la forza di guardare gli altri negli occhi e di dire la verità. Anche se costa cara.
E da qui si riparte. Con un nuovo spazio che pretenderemo. Uno spazio di tutti che diventi realmente la casa dei cittadini. Perché l'assemblea esisterà sempre, finché esisteranno i cittadini.

martedì 11 gennaio 2011

Borghezio?


Tutti avrete sentito le esternazioni del leghista Borghezio a proposito degli Abruzzesi. Ebbene, non mi toccano. E non me la sento neanche di controbattere. Non è questa la pubblicità o la visibilità della quale abbiamo bisogno. Oggi abbiamo bisogno solo di fatti concreti. Dopo due anni di immobilismo. E scagliarsi contro chi ha già ampiamente dato dimostrazione della propria grossolana pochezza, e sprecare con lui energie e rabbia, non fa altro che allontanarci dagli obiettivi che dovremo prefiggerci. L'Aquila è ferma, bloccata, allo sbando. E questo dipende anche dai cittadini. Troppo rinunciatari, paurosi. Si adeguano. Ci hanno già ampiamente tacciati di essere ingrati e cialtroni. E lo hanno fatto sulla nostra terra. Sulle nostra pelle. Sul nostro dolore. Il governo dimostra con i fatti che, ormai, L'Aquila è un capitolo chiuso. I nostri stessi amministratori tacciano, vedi il presidente della Regione, nonché commissario alla ricostruzione, Gianni Chiodi , i cittadini che si attivano da volontari sul territorio quali sporadiche frange strumentalizzate. I nostri amministratori locali, nell'anniversario del 6 aprile dello scorso anno, in un consiglio comunale farsesco, al quale erano invitati personaggi del calibro di Alemanno e Polverini, hanno gridato a noi cittadini dimostranti di vergognarci, quando rumoreggiavamo al messaggio di Berlusconi. L'ex prefetto Gabrielli, ora da controllore a controllato, promosso sul campo a capo della protezione civile, ci ha chiamati cialtroni e ci ha denunciati. Cialtroni , da sempre, siamo per l'arcivescovo Molinari. Cialtroni per il neo vice commissario Cicchetti. Ci impediscono di avvicinarci alle nostre case. Ci ingabbiano in iter burocratici che, scientificamente, ci impediscono di ricostruire. Ci vietano la partecipazione, ci negano la trasparenza degli atti amministrativi. Siamo stati ostaggi mediatici di un governo che ha vigliaccamente speculato sulla nostra disgrazia. Mistificando la realtà che solo ora, a tratti e parzialmente, sta uscendo. Abbiamo visto arrivare per la prima volta all'Aquila i senatori del PD a luglio dello scorso anno.Per la prima volta, dopo quindici mesi dalla disgrazia,hanno visto con i loro occhi la nostra tragedia. Non la conosceva, disse l'onorevole Bersani, e si impegnò a raccogliere le firme per la nostra legge di iniziativa popolare. Non già di farsene carico, come sarebbe giusto. Ha comunque disatteso anche quella promessa. Promessa elettorale. Ci hanno preso a manganellate, a Roma, quando eravamo a manifestare pacificamente per i nostri diritti. Provano ad impedirci di partecipare ai consigli regionali e, una volta ammessi, veniamo trattati con sufficienza e disprezzo dal presidente del consesso, pescarese, abruzzese come noi, ed invitati, con disgusto e stizza, a lasciare l'aula. Ed ora dovremmo arrabbiarci per Borghezio? Dopo che ci hanno devastato un territorio, ci hanno inquinato l'aria, ci hanno dispersi, annientati. Soffocati. Ebbene, Aquilani, diamo un segno. Facciamo vedere che siamo vivi. Non pronti solo a ricevere, grande o piccolo che sia, il piacere personale nella campagna elettorale: una realtà già in pieno atto. Ché il piacere fatto ad uno è l'ingiustizia perpetrata a danno di tutti gli altri. Alziamo il capo. La dignità si dimostra anche non soccombendo. Si dimostra non chiudendosi nel proprio dolore. Si dimostra partecipando alla cosa pubblica. Che è nostra. Non pensando solo a noi stessi. Alziamo il capo e iniziamo a pretendere di essere attori nel risollevarci dalla nostra tragedia. Smettiamola di delegare.Alle amministrazioni inefficienti, o ai pochi cittadini attivi. Io so che le persone fiere ci sono. Non usciamo timidamente allo scoperto solo quando si parla di restituzione di tasse, ché la ricostruzione della nostra città e della nostra comunità è, per noi, la cosa più importante. L'Aquila è patrimonio nostro ed è patrimonio del mondo intero. Abbiamo il dovere di salvaguardarla.

mercoledì 5 gennaio 2011

Basta poco


E basta poco. Basta una vecchio bruciatore che si rompe, per l'ennesima volta, in una vecchia casa non tua, lontana dalla tua vita,e che ti fa piombare nel freddo che non dovrebbe farti paura. Ché lo conosci bene il freddo. E pure le sofferenze. Basta un articolo su L'Espresso: un giornale che parla della tua esistenza, e di quella dei tuoi compagni di sventura. Ne parla bene, dopo ventuno mesi. Ne parla come ne parli tu. Da ventuno mesi. Ma leggerlo, vederlo su quelle pagine patinate, scorrere le parole con lo sguardo velato, è toccare con mano quella tragedia che ti ostini a volere superare. E, a volte, non ci riesci. E allora un amico posta su facebook le vecchie immagini della strada più bella della tua città, la strada nella quale abitavi. Quella nella quale hai vissuto per cinquant'anni. Coperta di neve. E basta poco perché quelle lacrime, che pensavi di aver versato tutte, tornino come il primo giorno. Più salate, più amare. Ché nulla è cambiato. Tu sei solo molto più stanca.