venerdì 30 aprile 2010

Non ho più.....

Sto costruendo la mia nuova vita. E la vita, per me, inizia da una casa. Da quel maledetto 6 aprile dello scorso anno, ho vissuto in automobile, per venti giorni, quindi in una vecchissima roulotte, per un mese, poi in un minuscolo container, per sei mesi, poi ancora, per cinque mesi, in una casina di altri, scomoda, anonima, triste e costosissima, nella quale mi son sentita ospite ed estranea, tanto da rimpiangere il container. Da un mese sono in una nuova casa. Quella che, immagino, sarà il mio rifugio per molto tempo. E da qui sto tentando di ripartire. E' una casa grande e vecchiotta. Costruita in blocchi di cemento, sulla roccia.Una casa solida. Una casa di paese. Con un piccolo giardino, un grande orto, un terrazzo e tanto spazio all'interno. Un fitto quasi onesto e tanta libertà. L'ho riempita delle mie cose. Quelle che ho recuperato. Non ho più la mia libreria ed i miei libri. Non ho più tutti quegli oggetti che amavo e che collezionavo. Le donnine nude di gesso. I vasi antichi. Le mie anfore. Le lampade. I quadri. Il mio terrazzo pieno di fiori.Non ho più la mia cucina tecnologica. Niente più servizi di piatti, né bicchieri. Non ho più le mie foto e tutti i ricordi conservati in un baule. Non ho più la scrittura di mio padre. Né il mio camino, né l'impianto stereo. Non ho più le mie scarpe.Non ho più il mio grande bagno, con la grande vasca. Non ho più un impianto di riscaldamento a gas metano. Clic, accendi, e tutto va bene. Non ho più quella vestaglia rossa. Non ho più la vetrata dalla quale guardavo i tetti della mia città. E davanti alla quale trascorrevo i miei momenti di riposo. Non ho più quell'abete, davanti la finestra del mio studio, che prosperava in un giardino nascosto. E spuntava da un tetto. E, a primavera, si riempiva di uccelli.Non ho più il Gran Sasso, dalla finestra della camera da letto. Né la collina di Roio, sull'angolo del terrazzo. Non ho più la piazza del Duomo, sotto casa. E la vita di una città sonnacchiosa di provincia. Ma, nella nuova vita, vedo la torre antica del paesino. E la catena del monte Velino, ancora innevata. E la piana davanti a me. Il sole sorge come a L'Aquila, alla finestra della camera da letto, quando mi sveglio. Ed ho due cani, trovatelli dopo il terremoto. Cucciolotti sfrenati. Una vera gioia. Ho tanti nuovi amici. Tantissimi. Nuovi e ritrovati. Tutti impegnati nel comune sforzo di partecipazione alla nostra rinascita. Ieri ho avuto una riunione di condominio, il mio vecchio, piccolo condominio. Non ci amavamo molto. Eravamo quasi degli estranei. Ora si va d'accordo e si cerca di venirci incontro. Un piccolo miracolo. Siamo affettuosi l'uno con l'altro. Ed accondiscendenti. Da qui si riparte. Si riparte dalle persone.Non so per dove. Ma si riparte davvero. Nonostante il terremoto, nonostante gli invasori, nonostante le bugie, nonostante chi non c'è più.

lunedì 26 aprile 2010

Comando e Controllo


Ieri, 25 aprile, in serata, nel presidio permanente degli Aquilani, in piazza Duomo, abbiamo proiettato il film documentario di Alberto Puliafito, il bravissimo giornalista torinese che ha trascorso con noi i mesi dell'emergenza. E del comando e controllo. Quei mesi che ci hanno visti schiacciati e sopraffatti ed oscurati dal metodo della protezione Civile. E merce da propaganda di stato.Quei mesi che hanno visto gli Aquilani anestetizzati dall'assistenzialismo che offusca la mente. Esasperato ad arte. Coloro che si ribellavano al metodo venivano annientati. Resi invisibili. Il tendone era colmo di persone. Tantissimi visi nuovi. E tanto dolore, nel ricordare, in alcuni casi, nel CAPIRE, ciò che abbiamo subito. E che rischiamo di tornare a subire. Mi son rivista in un'intervista del mese di agosto. Seduta sul letto del container nel quale vivevo. L'avevo dimenticata. Ho tremato e pianto sommessamente, nel ricordare.Vi riporto quello che Alberto ha scritto per noi. E' lungo, ma merita davvero di essere letto. E vi invito ad andare a vedere il film, se arriverà nelle vostre città. La proiezione è sempre gratuita.
p.s. Comando e controllo altro non è che il nome che la stessa protezione civile dà al suo quartier generale , celandolo dietro l'acronimo DICOMAC. Direzione comando e controllo.

"Dedichi quasi un anno della tua vita a una storia. Alla storia dell'Aquila. Ti fai raccontare, analizzi, discuti con colleghi e amici, cerchi di ampliare il raggio del tuo racconto e di mettere insieme i fatti per costruire una tesi. Così, nasce "Comando e Controllo". Un documentario duro. Politico. Senza speranza. Alcuni giornali e riviste recensiscono. Lo porti a New York, assolutamente per caso. Lo proietti a Torino, la tua città natale: ti aspetti una settantina di persone e ne arrivano 150. Entrambe le proiezioni vanno bene, e cominci a pensare che forse c'è del buono.Poi succede che arrivi all'Aquila, dove è nato tutto. E non conta più niente.Non conta più niente perché ti emozioni come un bambino, perché è qui che l'hai girato, il tuo film. E perché è qui che "Comando e Controllo" deve tornare. E perché deve tornarci il 25 aprile: il Comando e il Controllo vanno raccontati e smascherati il giorno della Festa della Liberazione, per una catarsi di contenuti e parole, di significati e significanti.Non conta più niente perché il pubblico dell'Aquila è l'unico che possa giudicare il lavoro: è composto da persone che il Comando e il Controllo li hanno subìti, che magari li hanno combattuti come potevano; persone che hanno vissuto il terremoto e la gestione emergenziale. Prima che inizi la proiezione, nel Presidio Permanente di Piazza Duomo, sei nervoso, ti guardi attorno, vedi che ci sono tanti amici, tanti volti noti e tante persone a cui sei legato, probabilmente per la vita. E vedi che ci sono sconosciuti che attendono. Probabilmente, attendono di vedere come è stata raccontata la loro storia.Decidi che non vuoi parlare prima della proiezione. Il tendone si riempie, e la tua tensione sale. Anzi, non è tensione: è emozione, o forse paura. Perché non vorresti mai aver sbagliato anche tu, come hanno sbagliato tanti, a raccontare questa storia. Per fortuna c'è una persona accanto a te che il tuo lavoro l'ha già visto e che, miracolosamente, trova il modo giusto per rassicurarti. In silenzio: era l'unico modo possibile. In silenzio, come diventa silenzioso il tendone quando parte la proiezione. Poi, una prima risata quando c'è da ridere amaramente. Un'imprecazione di indignazione. Un'altra. Una risata di gusto. Un applauso durante la proiezione. Un altro applauso e un'altra risata amara, poi una di cuore, poi qualche altro cenno di rabbia. La tensione ti si scioglie e esci dal tendone, e ascolti le altre reazioni, che non ti immaginavi così forti. Te le godi tutte. Fino all'applauso finale.Che non sai proprio come accogliere, tant'è lungo e bello: non riesci a goderti il momento come se fosse una celebrazione, no. Ti siedi dietro al tavolo per il dibattito, mentre l'applauso continua, e devono farti alzare a forza, per goderti quell'applauso che in realtà è un abbraccio: una signora viene a stringerti la mano e ti dice grazie, e tu resti lì, incapace di parlare. E non ti viene da fare nient'altro che non sia applaudire a tua volta e ringraziare gli unici veri artefici del tuo lavoro. Gli unici veri protagonisti di questa storia. Gli Aquilani.E quell'applauso lo vorresti condividere con tutti coloro che hanno collaborato al lavoro e lo hanno reso possibile. Per la prima volta, da quando racconti questa storia, sei senza parole: era tanto tempo che non ti emozionavi così; per la prima volta hai la sensazione di aver davvero raccontato la storia che volevi raccontare e ti senti finalmente legittimato a portarla in giro per questo Paesello malato e stanco, che questa storia, la storia dell'Aquila e di "Comando e Controllo", deve conoscerla perché si possa fermare un processo di imposizioni autoritarie, di potere assoluto, di concezione della "cosa pubblica" come se si trattasse di un'azienda da cui trarre profitto, di emergenze e capitalismo dei disastri, di neoliberismo e erosione degli spazi democratici.Pensi a tutto questo, e hai una gran voglia di dire grazie a tutti coloro che erano presenti, che ti hanno regalato una nottata speciale: l'adrenalinadi cui ti hanno riempito ha reso più facile una notte al volante, per ritornare dall'Aquila a Torino e ricominciare a lavorare per portare ovunque questa storia."

giovedì 22 aprile 2010

Doma'

Ricordo la mia città senza Aquilani, un anno fa. Piena di divise. Piena di divieti.Piena di persone che ti dicevano cosa fare. Gente che pretendeva di pensare al tuo posto.Io, scheggia impazzita, vagavo in cerca di quello che non c'era più. Cercavo tracce della mia prima vita. Cercavo di non impazzire. Guardavo le mie montagne. Le uniche ad essere rimaste sempre uguali. Ricordo che, se cercavo qualcosa da mangiare nei pochi supermercati aperti, o chiedevo acqua in un chiosco di fortuna, o mi avvicinavo ad un campo tenda, c'era sempre lo stesso ritornello. Quello di una canzone che ho imparato presto a detestare: "Domani". Credo conosciate il brano dei cinquanta artisti italiani uniti per noi. Aldilà del nobile gesto, la canzone è orribile. Banale e superficiale. "Con un po' di fortuna si può dimenticare" recita. Quelle parole mi infastidivano. Ma cosa vuoi dimenticare? Noi non vogliamo dimenticare. "Lo so che si passa il confine, e di nuovo la vita sembra fatta per te, e comincia domani". Domani?Quando non sai neanche cosa sarà di te fra un minuto. E non lo sai neanche oggi. Dopo un anno. "Domani è già qui", cantavano in gruppo,quando qui ben sapevamo che quel domani sarebbe arrivato fra anni ed anni. Qualche tempo fa, quando le carriole avevano già iniziato il loro percorso, in Piazza Duomo si allestiva la farsa della chiesa delle Anime Sante riaperta al pubblico. Una quinta celava il transetto e la cupola distrutti e, all'esterno, un megaschermo proiettava immagini ottimistiche. Si aspettava Bertolaso, che non arrivò, temendo contestazioni. Restai lì la mattina intera e gran parte del pomeriggio. A volume altissimo, degli altoparlanti trasmettevano la canzone in questione. A ripetizione. Per ore ed ore. Chiesi ad un vigile del fuoco di risparmiarci quella tortura. "Ordini della protezione civile", mi rispose. Quando venni via, ero inebetita. Le stesse note, trasmesse per tutto il giorno, mi avevano distrutta. Inutile dire che il fastidio si trasformò in avversione viscerale. Ieri mi sono riconciliata con quella musica. Chi ha compiuto il miracolo? Un nutrito gruppo di artisti aquilani , tutti insieme ad esorcizzare la banalità del testo, con una testimonianza che mi ha commossa. Occorre star dentro agli accadimenti, per capirne la portata. Occorre viverli, per poter parlare ai cuori. E bisogna rispettare i tempi del dolore.Nella canzone, che vi propongo con i sottotitoli, c'è tutta la nostra storia sino ad oggi. Storia di stranieri nella propria città. Di scosse che continuano da mesi e mesi.Storie di accampati, di pendolari, di cani sciolti. Storie di case distrutte, di case nuove che non bastano e di strade che non riconosci. Storie di nuovi agglomerati senza anima. E di mille rotatorie.Storia di una città che non è più la tua. E dei suoi abitanti che, nonostante la "sòla", lottano. Soli.

domenica 18 aprile 2010

I libri e le carriole


L'esperimento di democrazia partecipativa che vede L'Aquila trasformata in un laboratorio di idee, progetti ed iniziative e i cittadini impegnati in prima persona a promuoverli e renderli fattivi implica un immane sforzo di auto-organizzazione. I cittadini attivi sono spessissimo impegnati in più fronti. Le riunioni si susseguono incessanti. In una città-non città che rende tutto ancor più difficile. Le tematiche da affrontare sono tantissime.Nuove forze si sono aggiunte a quelle che lavorano sul territorio dalla prim'ora. E questa è una ricchezza e una fonte di stimolo e soddisfazione per chi ha sempre creduto nel progetto. Nonostante le difficoltà, le delusioni, le sconfitte, gli oscuramenti. Eravamo in pochi, all'inizio, ora siamo in tanti. L'assemblea cittadina di stamani è stata produttiva ed efficace. I cittadini attivi hanno riportato i progressi ottenuti nei vari tavoli di lavoro. Altre proposte sono state portate all'attenzione dell'assemblea. Con ottimi risultati di adesione. C'è entusiasmo e desiderio di partecipazione. Alle ore 10, sotto un cielo piovigginoso, sono arrivati i libri donati all'università, sulle carriole, ed è stata allestita una piccola biblioteca ad accesso libero nel tendone del presidio permanente di piazza Duomo. Poi si è partiti per una passeggiata ricognitiva per le strade del centro storico ancora interdetto agli Aquilani. E' stato doloroso constatare ancora una volta come la nostra città stia letteralmente morendo. Il quartiere di San Pietro e quello di Santa Maria Paganica sono i più devastati. E lì abbiamo passeggiato. Mestamente. Alcuni attoniti, altri con le lacrime agli occhi. Molti consapevoli e seriamente preoccupati. La netta sensazione è quella di essere in mano ad amministrazioni assolutamente impreparate a fronteggiare un tale disastro. Il pericolo è che la protezione civile torni ad operare sul territorio con la politica del fare. Fare profitto, calpestando i diritti ed i bisogni della popolazione e del territorio. Trattando la ricostruzione come un affare da risolvere con appalti e clientelismo. E la popolazione, intimorita dalla macchina da guerra degli uomini del fare, torni ad appiattirsi, rimettendosi alle decisioni prese dall'alto. Ma lo zoccolo duro si è formato. Ed io so che resisterà. Siamo motivatissimi. Non vi nascondo di essere molto stanca. Da più di un anno vivo in condizioni estreme e sempre in prima linea nel monitorare gli accadimenti aquilani, e nel cercare, nel mio piccolo, di determinarli. Le difficoltà del lavoro che non riparte, le preoccupazioni per il futuro personale, la stanchezza fisica mi obbligano a prendere una pausa. Continuo ad esserci, ma con un occhio alla mia salute. Tornerò presto attiva come prima.

lunedì 12 aprile 2010

Quello che è importante



Son rimasta in silenzio in questi giorni. Il silenzio che il dolore mi imponeva. Ma ho continuato a lavorare, insieme con i cittadini coscienti ed attivi, per la mia città. Sono accadute tante cose. Molte, a mio avviso, prive di importanza. Altre, invece, degne di nota e foriere di soddisfazioni. Il consiglio comunale che si è svolto la sera del 5, prima della fiaccolata della memoria, è stato un'indegna farsa. Un insulto ai cittadini dolenti, ai parenti delle vittime, alla verità. Sindaco, consiglieri e ospiti, del calibro di Alemanno, Polverini, Bindi, hanno sfilato nella vetrina mediatica offerta dalla ricorrenza. Nessun ordine del giorno da offrire alla popolazione in Piazza Duomo. Gli ordini del giorno vengono stilati quando il consiglio si riunisce nei laboratori del Gran Sasso. In montagna, lontano dalla città e dalla gente, nel tentativo di scongiurare la partecipazione. E nessuna commemorazione. Solo autoncensamenti per l'operato svolto. E bugie. La popolazione ha vibratamente protestato, soprattutto durante la lettura del messaggio del presidente Berlusconi. Il Consiglio ha risposto con pesanti rimbrotti e minacce di ritorsioni. Cose da far accapponare la pelle. I nostri rappresentanti che minacciano i propri elettori. Stendiamo un velo pietoso e releghiamo la circostanza fra quelle non degne di nota. Degna di nota, al contrario, l'assenza del dottor Bertolaso che, percependo il dissenso, ha preferito glissare alla volta di vetrine migliori. Grande assente anche il presidente del Consiglio: L'Aquila non è più un set attraverso il quale mostrare il falso all'Italia intera. E queste son soddisfazioni. Il viscido aquilano Vespa, untuoso e prono con i potenti, arrogante e prepotente con i dissenzienti, ha preparato in differita il teatrino per l'occasione. E' stato bravo a togliere la parola agli Aquilani attivi ed a ridicolizzare le amministrazioni deboli ed insipienti. Bravissimo ad offrire a Bertolaso l'occasione per ripulirsi le mani e la faccia. Dopo gli scandali che lo vedono coinvolto. Ha tentato anche di dividere la popolazione: quelli con il popolo delle carriole e quelli che si dissociano. Con scarso esito. Alcuni cittadini dissenzienti, dopo aver fondato su facebook un gruppo chiuso, nel quale si entra dopo vaglio dell'amministratore, gli hanno inviato una lettera di scuse e ringraziamenti. Si dicono riconoscenti all'operato della protezione civile e delle istituzioni tutte. Idee rispettabilissime. La nota interessante, però, è che i firmatari si definiscono "coloro che si dissociano". Senza nome, senza faccia. Senza il coraggio di affermare le proprie idee in maniera riscontrabile. Anonimi. Come gli anonimi che popolano questo blog da sempre e che mai sono stati costruttivi per il dibattito. Archiviati gli argomenti privi di importanza, ma che vanno riportati per onor di cronaca, passiamo ai fatti. Ieri, domenica, ci siamo incontrati di nuovo per spalare. Il tempo impietoso, il freddo e la pioggia, ci hanno consentito di lavorare per un paio d'ore. Piazza IX Martiri è stata ripulita dalle macerie. Abbiamo iniziato con l'attigua piazzetta del Sole. Il 25 aprile i cittadini attivi restituiranno la piazza simbolo della resistenza alla cittadinanza e celebreranno la giornata con un programma in via di definizione. Alle 12 si è svolta l'assemblea cittadina nel presidio permanente di piazza Duomo. Partecipatissima e costruttiva. E poi i tavoli dell'open space che stanno producendo documenti di partecipazione. E programmi. E che implicano tanto lavoro e il tempo di tutti noi rubato ai gravosi impegni che la nostra condizione ci impone. Presto si vedranno i risultati. Per chi voglia avere un'idea, invito a visitare questo sito, in via di perfezionamento, ma già in grado di aprire una finestra sul lavoro che stiamo svolgendo http://www.anno1.org/home
E la stampa internazionale è interessatissima al nostro progetto poiché lo considerano valido ed esportabile . L'Aquila è diventata un laboratorio di democrazia e di partecipazione dal basso. E questo grazie ai cittadini che volontariamente ed indefessamente lavorano da mesi per la sua rinascita. E i risultati fin qui prodotti sono soddisfazioni. Il resto, per me, non è degno di nota.

Il trailer del cortometraggio del nostro Luca Cococcetta esprime la rabbia e la disperazione di chi si sente ingiustamente colpito dalla prepotenza di chi tenta di strumentalizzare la nostra condizione.

mercoledì 7 aprile 2010

Un anno fa

Un anno fa, oggi. Sto provando a ricordare, ma ho il vuoto. Sento solo un buco doloroso allo stomaco. Posso solo constatare quanto sia vero che io, da quel giorno, sono un'altra. Quella di prima è seppellita per sempre. E non vuole più uscire, se non nei ricordi più lontani. Quelli della memoria che deve restare. E oggi, e da oggi, voglio sempre più impormi la volontà di guardare solo avanti. Giorno dopo giorno. Per quello che ogni giorno può portarmi. Quelli appena trascorsi sono stati pesanti e mi hanno fatto male. La sensazione è stata come di una nuova malattia su un corpo che ancora soffre di quella vecchia. Su un corpo che si risolleva unicamente con la forza della volontà, ché le medicine sono inefficaci. E quando stai così male non riesci a vedere neanche il buono. Il bello di tante persone, tutte insieme, unite a ricordare. No, vedi solo gli sciacalli nostrani e forestieri. Gli sciacalli che si avventano su un dolore che andrebbe rispettato. Su una rabbia che andrebbe compresa. Perchè noi, con tutto il nostro bagaglio di sofferenza e ricordi, il 5 ed il 6 aprile avremmo dovuto esser lasciati soli. Per poi essere presi di nuovo oggi. Con la nostra vita da ricostruire. E aiutati a ricominciare. Invece solo retorica spicciola e bugie. E fotografi che passavano sopra al tuo dolore come treni in corsa. Avrei dovuto restare chiusa in casa. Non l'ho fatto. Ho sbagliato. Ma quei 308 rintocchi della campana, uno dopo l'altro, sono durati venti minuti e mi hanno convinta che era giusto che fossi lì. Nel buio. E ognuno di loro era un corpo. Che non c'è più. Un'anima andata altrove. Ho pianto, al freddo. Nascondendo il volto nella sciarpa, appoggiata ad un lampione della piazza di tutta la mia vita.
Piango ora. Perdonatemi.

venerdì 2 aprile 2010

Pasqua di rinascita

Le carriole, il cuore di tanti Aquilani messo a servizio della propria città, suscitano paura, polemiche, attacchi, strumentalizzazioni. Nelle stanze del potere si vede di mal'occhio la raccolta di tanti cittadini sotto un unico obiettivo. I cittadini pensanti, critici, attivi, nell'Italia di oggi, devono essere eliminati. Relegati in un angolo, ridotti al silenzio a subire le decisioni prese da altri. E' questo il volere del Prefetto Gabrielli. E' questo il volere della Curia. Gli attacchi sono stati spietati. Gabrielli, ex capo del Sisde, amico fraterno di Guido Bertolaso,dopo aver sentenziato che le carriole aquilane sono un chiaro strumento elettorale, ed aver denunciato i cittadini, non pago, ha inferto l'affondo "questa si chiama prepotenza delle minoranze". E qui si scopre l'individuo. Sorvolando sul fatto che non siamo minoranze, bensì rappresentanze,come vogliamo definire chi scorge nelle minoranze un pericolo e non una ricchezza? E ne annulla i diritti? Come vogliamo chiamare chi tende a ridurle dispoticamente al silenzio? A voi la risposta.
Altro uomo di potere che non ci ha lesinato stigmatizzazioni è l'arcivescovo Molinari, colui che è stato commissariato dallo stesso papa, tramite l'invio di un vescovo ausiliare.
'' Sembra che ci sia qualcuno molto interessato alle 'carriolate' perché vuole creare dal punto di vista politico un gruppo che abbia autorità nella ricostruzione della città''. E ancora:" qualcuno è molto interessato a queste manifestazioni per poter entrare poi nella cabina di regia delle attività di rimozione delle macerie e di ricostruzione" Pure illazioni quelle dell'uomo di chiesa, che lanciano ombre, ma non fanno nomi. Se gli Aquilani volessero fare illazioni sull'operato del vescovo e della curia tutta, prima del terremoto, avrebbero milioni di parole da versare. Se ne sono viste delle belle, con i numerosi pretini giovani arrivati in città dopo l'insediamento del vescovo. Eleganti e azzimati come maniquenne e affettati come cicisbei. Si sono notati i loro comportamenti poco ortodossi. Nelle strade e nelle canoniche. Illazioni, supposizioni senza nessuna base concreta, per cui i cittadini hanno taciuto. Non hanno rilasciato interviste nelle quali esplicitavano i loro sospetti. Il vescovo, invece, parla a favore dei giornalisti. E accusa. Senza addurre fatti probanti. Fatti, invece, e non parole, sono quelli che vedono la Curia imporre prepotentemente le mani sul bottino del post terremoto, ottenendo che si costruiscano strutture pubbliche, con danaro pubblico,quali la nuova casa dello studente, su terreni privati, della curia, che ne assume la gestione ed il possesso. Oppure costruendo strutture private, chiesa, conventino per sei fraticelli, accoglienza e mensa su terreni pubblici, quale Piazza D'Armi. Disgustoso l'atteggiamento che vede chi dovrebbe auspicare e favorire la fratellanza fra le genti applicare il divide et impera che qui, ormai, è di casa. Applicato in primis dal metodo protezione civile, quindi dalle istituzioni, ed ora anche dal clero. Nessuna parola per le infiltrazioni mafiose negli appalti, nè su chi rideva alle 3e32 di quella notte. Nessun cenno a chi specula sulla nostra tragedia. Lì si tace. Come sui preti pedofili.

Mi cheto. La Pasqua nella mia città mi piaceva tanto. Come rito di rinascita. Ed amavo, da atea, il funerale di Cristo uomo che si svolgeva per le via del centro storico. La processione del venerdì santo mi vedeva sempre presente. Quest'anno non ci sarò. Sono nauseata. La mattina di Pasqua ci riuniremo per la tradizionale colazione aquilana nel presidio permanente di piazza Duomo. Per abbracciarci ancora. Per continuare a sperare. Poi il selenzio per la commemorazione della nostra tragedia. Solo la fiaccolata, dalla mezzanotte del 5 alle 3e32 del 6 aprile. Lasciamo agli altri i teatrini e le ostentazioni. Noi esigiamo silenzio e rispetto.
Buona Pasqua di rinascita a tutti voi.
Un abbraccio.